Un campionato RIGORosamente romantico… ballando su un noioso DISCHETTO.

Un campionato RIGORosamente romantico… ballando su un noioso DISCHETTO.TUTTOmercatoWEB.com
domenica 10 marzo 2024, 22:26Editoriale
di Roberto De Frede
Gli errori aprono alla conoscenza, quelli degli arbitri invece spalancano le porte dello scudetto all’Inter.

Le ombre di due uomini si stagliano contro il sole morente... nei leggendari duelli alla pistola. A separarli, dieci passi (nel nostro caso 11 metri!) e un silenzio tale che anche l’erba, schiaffeggiata dal vento, sembra creare un rombo assordante. Davanti al saloon, o dietro le imposte delle case, gli onesti cittadini attendono, con un misto di meraviglia e orrore, il momento in cui le Smith & Wesson 8 pollici calibro 44 e le Colt 45 parleranno tra loro e il sangue bagnerà la polvere. Il tempo si è fermato e i duellanti sembrano statue immote, le mani destre congelate all’altezza del cinturone, gli sguardi taglienti come lame di coltello. Poi, all’improvviso, gli istanti riprendono a rincorrersi frenetici. Le mani compiono la breve traiettoria che le separa dal calcio delle pistole, i percussori incendiano la polvere da sparo e… il pallone scaraventato verso la rete!

Che romanticismo di frontiera questi arbitri appassionati del Far West che seguono tanto da vicino l’Inter, in ogni modo tendono a scrivere pagine drammaticamente pregne di pathos, e negli ultimi tempi ci riescono benissimo con una penna dall’inchiostro nerazzurro, novelli scrittori di attimi ansimanti preludio di domenicali ferie personali anticipate.

Il calcio di rigore, un tiro che cambia partite, storia, romanzi ed emozioni, perché continuamente reinterpretato dal protagonista facendone un esemplare personalizzato. Immensamente poetico, con endecasillabi colorati di bianco e rosso, quello di Cruijff: il 5 dicembre 1982, contro l’Helmond Sport calciò con un espediente spettacolare il suo primo e unico penalty con la maglia ajacide; un rigore particolarissimo, toccando semplicemente il pallone in avanti per l’accorrente Olsen che ridiede la sfera a Johann il quale dolcemente la mise in rete.

In principio i falli in area erano come tutti gli altri, poi arrivò il 1891 e l’area, quel pezzo di terreno, divenne l’O.K. Corral di Tombstone. L'idea nacque dalla proposta di un ex portiere irlandese, William McCrum: il suo intento era quello di sanzionare con maggiore severità i falli commessi in area, perché una punizione indiretta ravvicinata con barriera non poteva rappresentare una sanzione troppo grave per la squadra in difesa, soprattutto se un suo giocatore deviava platealmente la palla con una mano. Questo è quanto accadde ad un giocatore del Notts County, con lo Stoke City che non riuscì a far gol con una punizione a pochi metri dalla linea di porta. Così ebbe luce il “kick from the penalty spot” in caso di sgambetto, trattenuta, o fallo di mano volontario.

Nei tempi pionieristici le novità non venivano apprezzate, esattamente come ai nostri tempi, ma se le innovazione riguardano oggi il vergognoso uso del VAR… beh “non apprezzare” diventa un eufemismo! La squadra del Corinthians, ad esempio, ritenendo il rigore un insulto all’onorabilità del calcio, per un po’ di tempo rifiutò di calciarli. Altre ere geologiche, ormai andate, archiviate ma che insegnano sempre qualcosa a chi vuole imparare, s’intende. Superate poi le prime resistenze, i rigori diventarono ben presto un irrinunciabile cult, destinato a rimanere impresso nella memoria di un popolo intero. I filmati sono praticamente introvabili, eppure non c’è calciofilo che non ricordi il mitico rigore di Meazza nella semifinale della Coppa Rimet del 1938, raccontato divinamente da Gianni Brera, il cantore principe dell’italica pedata, nella Leggenda dei Mondiali: “Si fa avanti il Peppin Meazza per il 2-0 ma proprio in quell’istante gli salta l’elastico dal quale sono retti i calzoncini. Che fare? Uscire a cambiarseli o reggerli con la manina per il tempo che basta a pennellare il golletto santo? […] Guarda l’arbitro come a dire che è pronto. L’arbitro manda il suo trillo d’assenso e il Peppin con arguti passetti arriva a toccare: il portiere brasiliano si corica a sinistra: la palla, beffarda, rotola e quasi saltella irridendo fino a spegnersi nella rete: a destra.”

Non esiste infatti momento letterario nel calcio più alto del rigore: non solo perché il duello, sia esso fisico, dialettico o morale, è sempre un obbligo in qualsiasi opera letteraria, teatrale o cinematografica fin dai tempi di Achille e Ettore, ma soprattutto per il fatto che quella che viene descritta come la massima punizione riesce a condensare in sé l’infinita scala di sensazioni ed emozioni che un essere umano possa provare. La tensione che sale, palpabile: i rivali che lentamente, raggiungono il loro posto per l’appuntamento col destino. L’uno su un dischetto messo lì dal 1902, l’altro su una linea bianca, quella della porta. La regia che indugia in un alternarsi di primi piani. Sergio Leone docet. Stacco. Ora la visione grandangolare, abbagliante nella sua maestosità: la trepidazione sta per raggiungere il suo apice, ancora un fotogramma dei due protagonisti, con lo sguardo denunciante una insicurezza potenzialmente fatale o al contrario con la fissità dei lineamenti, segnale di una padronanza di sé quasi arrogante. Infine, nessuna colonna sonora di Morricone, se non il rumore dei battiti cardiaci, un silenzio intorno irreale e assordante interrotto dal segnale d’inizio del duello: un fischio, che richiama quello del treno della stazione di Mezzogiorno di fuoco. E poi, la gloria e la disperazione, dipende… Il capolavoro di Osvaldo Soriano, Il rigore più lungo del mondo, ne è immortale dimostrazione: nella vicenda del mitico portiere indio Gato Diaz ogni singola parola ci trasmette l’attesa e l’aspettativa di un popolo intero, la passione delle hinchadas, le tifoserie, la tensione dei due contendenti, il dramma di chi sbaglia, l’estasi di chi vince.

Tutto meravigliosamente romantico, affascinante, indecifrabile, ma il rigore – non dimentichiamolo - è anche la massima punizione, pena esemplare per un grave reato commesso dal colpevole di turno: un ergastolo senza appello, una condanna a morte. Dall’inizio di questo campionato un noioso “dischetto” viene riprodotto puntualmente a mo’ di tormentone estivo: punizioni di rigore concesse all’Inter ad occhi chiusi o troppo aperti - dipende dai punti di vista -  hanno condannato senza appello ingiustamente molti innocenti. Le amare vicende sono state anche riconosciute dall’AIA, tanto è che praticamente chi arbitra l’Inter, trascorre poi almeno le due domeniche successive beato in famiglia a guardare San Siro dalla televisione. Mah… la buona fede ci porta a dire che forse è tutto un caso, ma quando il caso è affetto da recidiva la buona fede comincia pericolosamente a vacillare. In principio si decideva con la monetina, testa o croce… Sarà davvero passato del tutto il tempo del soldino che volteggiava nell’aria attendendo l’alea, o qualcuno gira ancora…?

Il Lettore vorrà scusarmi, mi sono concesso un editoriale sabbatico… con poco bianconero, in attesa dell’Atalanta, augurandomi che l’inchiostro nerazzurro delle giacchette nere di questo pomeriggio sia meno romantico…

Roberto De Frede