La sostenibile pesantezza dei soldi del mondiale per club

La sostenibile pesantezza dei soldi del mondiale per club
Oggi alle 01:30Editoriale
di Antonio Paolino
Le prime partite del mondiale confermano la stanchezza delle squadre partecipanti e la volontà di fare cassa disputando più partite possibili

Nessuno ne parla male. E questa è già una notizia perché appena il mondiale entrerà nel vivo, diventerà anche interessante. Diciamo almeno dai quarti di finale in poi, cioè dopo aver effettuato la scrematura naturale delle 32 squadre partecipanti. Da tutti i continenti sono arrivate le migliori compagini con le medesime, almeno verbalmente, intenzioni di primeggiare. La prima edizione extra large del campionato ha messo già in mostra i limiti di quelle squadre che poco hanno a che fare con una manifestazione, appunto, mondiale. Tanto fumo, corsa neanche troppa, qualità abbozzata in qualche protagonista e voglia solo di sfruttare l'occasione per incassare quel gruzzoletto di soldi che non guasta mai. La Fifa ha proceduto in modo da incastrare quell'unico tassello mancante per non lasciare più spazi a nessun altra iniziativa, oltre la quale è garantito solo il crash test sportivo. Ovvero la ribellione dei giocatori, strapagati quanto si vuole (non tutti), ma ancora lontani dall'essere delle macchine telecomandate. Il calcio e i suoi dirigenti sono davanti ad un bivio: la credibilità di un sistema che non può reggere solo dal punto economico, ma anche da quello di tipo fisico. Si sono già visti giocatori nervosi, stanchi e squadre fallose oltre ogni ragionevole volontà. Tutto spiegabile con quella stanchezza che affiora dopo una stagione estenuante. Al momento di chiudere l'articolo solo il Psg e il Bayern hanno vinto con facilità. E solo l'Atletico Madrid ha allentato le difese del suo bunker, ma senza scomporsi troppo. Le loro certezze, e di squadre come la loro, passano da altri percorsi. E la stessa cosa potrebbe riguardare anche la Juventus in piena ricostruzione, dopo la rivoluzione di un anno fa non andata a buon fine.

Juve d'America – La Juve a stelle e strisce è partita come si fa quando si va il più lontano possibile per ritrovare la pace interiore prima di una nuova stagione. Le motivazioni non mancano, ma il sentirsi ancora sotto esame dopo l'annata difficile e stancante non aiuterà a sbagliare meno. Ci si augura quindi che le cose che servono siano già state pensate e approvate dal “cervellone” algoritmico. In realtà, mancando ancora una vera e propria strategia – oltre ai nomi dei due direttori che dovranno condividerla – resta l'identità di Tudor e della squadra pensata nelle nove partite giocate sotto la sua gestione. Difficile pensare qualcosa di più, facile ipotizzare qualcosa di meno. Salvo i colpi dei giocatori a scoppio ritardato come Vlahovic, Koopmeiners e Douglas Luiz, i più riposati e discussi dell'ultimo campionato. E tutto questo mentre Comolli (rimasto in Italia) mette a punto le necessarie mosse di mercato. E dove al primo colpo, di solito, oltre alla paternità viene quantificata anche la competenza del professionista e l'affidabilità dell'algoritmo.