La Juventus deve ripartire da qui: l’asse che può cambiare la stagione
In questo momento storico, probabilmente il più fragile dell’intera gestione Spalletti, la Juventus ha un’urgenza primaria: ritrovare personalità. Non quella urlata, non quella estetica, ma quella che si manifesta nei momenti difficili, quando la squadra mostra paure inspiegabili, giocate impacciate e una mancanza evidente di sicurezza tecnica. Se oggi si deve scegliere un filo da cui ricostruire, un asse su cui poggiare la rinascita, allora il punto di partenza è chiaro: Kalulu, McKennie, Conceição e Yildiz.
Sono loro, più di tutti, ad aver dimostrato affidabilità, coraggio, continuità e la sfrontatezza che serve per uscire dalla palude emotiva in cui la Juventus si è infilata. E il percorso di ricostruzione, volenti o nolenti, deve partire da qui.
Kalulu, ad oggi, è la certezza assoluta. Ha giocato tutti i minuti di tutte le partite ufficiali della stagione, senza mai una sbavatura decisiva, senza mai dare la sensazione di essere fuori giri. Da centrale, da terzino, persino da esterno di centrocampo durante la gestione Tudor: ovunque lo metti garantisce ordine, pulizia, velocità e una tranquillità che in questo momento è ossigeno per una retroguardia fragile. È un giocatore che non alza la voce, ma lo fa il campo per lui. E in un gruppo che spesso si perde alla prima difficoltà, avere un leader silenzioso, affidabile e impeccabile nei comportamenti è un patrimonio che Spalletti non può permettersi di mettere in discussione.
Poi c’è McKennie, l’uomo che tutti sembrano sempre pronti a dare in uscita e che invece puntualmente diventa imprescindibile. Succede con ogni allenatore: Pirlo, Allegri, Motta, Tudor, ora Spalletti. Il motivo? Semplice. McKennie è un giocatore necessario. Perché è moderno, perché è duttile, perché è fisicamente integro, e perché sa interpretare tre ruoli diversi in una settimana senza perdere un grammo di lucidità. Può fare l’incursore vicino alla punta, può fare il mediano, può giocare esterno a tutta fascia e persino terzino — come nell’ultimo scorcio di gara col Pafos. È disciplinato, ma allo stesso tempo capace di rompere gli equilibri. È uno di quelli che non ha paura di rischiare la giocata, e in un gruppo condizionato dal terrore di sbagliare è esattamente l’antidoto che serve.
E in avanti la Juventus ha due scintille da proteggere: Yildiz e Conceição.
Yildiz è il talento puro, la luce che si accende quando tutto intorno sembra buio. Quando dribbla, quando si accentra, quando inventa, cambia la temperatura emotiva della squadra e dello stadio. Ha la sfrontatezza dei giocatori veri, quelli che non guardano il contesto ma solo l’avversario davanti. La Juve deve costruire attorno a lui, non limitare il suo istinto.
Conceição è diverso, complementare. È un funambolo — imprendibile nell’uno contro uno, devastante quando punta l’uomo. Anche nelle partite in cui non è brillante, il suo marcatore non può distrarsi un secondo, perché la giocata secca ce l’ha sempre nelle corde. È imprevedibile, coraggioso, elettrico. È il tipo di calciatore che a gara in corso può ribaltare inerzie e stati d’animo: un lusso che non tutti possono permettersi e di cui Spalletti deve fare un’arma costante.
In attesa del rientro di Gleison Bremer, altro cardine imprescindibile, questa è l’ossatura da cui la Juventus deve ripartire. L’asse Kalulu–McKennie–Conceição–Yildiz rappresenta oggi l’unione tra affidabilità, modernità, coraggio e talento: le quattro caratteristiche che mancano al resto della squadra e che servono, con urgenza, per dare una svolta alla stagione.
Spalletti lo sa: per uscire dalla paura serve poggiarsi su chi non ha paura. E in questo momento, la Juventus ne ha quattro. Il resto dovrà costruirlo attorno.
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