Legrottaglie: "La maglia della Juve porta enormi responsabilità, quando ho firmato la mia vita è cambiata"

Legrottaglie: "La maglia della Juve porta enormi responsabilità, quando ho firmato la mia vita è cambiata"TUTTOmercatoWEB.com
Ieri alle 17:45Altre notizie
di Alessio Tufano

Intervistato da FanPage, Nicola Legrottaglie ha toccato diversi argomenti anche legati alla Juventus: "Quando ho firmato con la Juventus ho capito che la mia vita non sarebbe stata più la stessa. Non parlo di chili sulla pelle, ma di responsabilità. Quella maglia rappresenta un popolo intero. Ovunque vai nel mondo trovi juventini, percepisci un attaccamento viscerale. Ogni parola, ogni gesto, ogni scelta diventa pubblica. Non sei più il ragazzo del Chievo che gioca nel suo quartiere: diventi un simbolo, e devi stare attento a tutto".

In difesa, Legrottaglie a Torino ha condiviso il campo con alcuni tra i più forti, ma come racconta, Chiellini e Montero hanno rappresentato i due estremi opposti: "Giorgio era 'la mia acqua santa': caratteri diversi, ma in campo bastava uno sguardo, ci completavamo alla perfezione. Fuori parlavamo di fede, di vita, di cose profonde; dentro lui portava la forza fisica che a volte mi mancava, io gli davo quella lettura anticipata che lui integrava con la grinta. Diverso Paolo Montero, un uruguaiano pazzo, estroverso, imprevedibile. In partita sembrava un telecronista: commentava ogni tua giocata, ti incitava, ti correggeva in tempo reale. Era un leader tecnico straordinario, uno che trascinava tutti".

Al di là della difesa, Legrottaglie può dire di aver giocato insieme a leggende della Juventus come Del Piero, Buffon o Nedved: "Quando li vivi ogni giorno smetti di chiamarli con il cognome. Diventano Gigi, Alex, Pavel, persone, non icone. Alessandro per me resta il capitano, ma soprattutto resta Alex. Abbiamo pianto e riso insieme, abbiamo vissuto tutto". Il riferimento velato è a Calciopoli: "Io non divido le Juve. Quella di Moggi e quella dei nove scudetti sono la stessa storia. In Serie B, da feriti, ma vivi, abbiamo costruito un’identità nuova. Abbiamo messo le fondamenta di una cultura della rinascita. Quei nove scudetti non sono arrivati per caso: sono arrivati perché c’erano campioni che sapevano vincere sul campo, anche dopo essere stati messi in ginocchio".