Allegri e ironici: guardie, ladri e l’invidioso biscione.
Non possiamo davvero non essere allegri, per le ultime straripanti allegriane vittorie bianconere in campo e maxime per quelle dialettiche d’Allegri Max, pregne di sagace ironia, espresse con una verve pungente e caustica, tanto cara a Voltaire, adoperata per le sue perseveranti illuministiche lotte contro lo stagnante conservatorismo aristocratico e clericale. L'ironia è l'espressione di una persona che, animata dal senso dell'ordine e della giustizia, si irrita dell'inversione di un rapporto che stima naturale, normale, intelligente, morale, e che, provando il desiderio di ridere a tale manifestazione d'errore o d'impotenza, la stimmatizza in modo vendicativo rovesciando a sua volta il senso delle parole o descrivendo una situazione attraverso metafore tra il reale e il fantastico. Il che è una maniera di rimettere le cose per il verso giusto… scriveva nel suo Dizionario di poetica e retorica il professore Henri Morier.
L’ironia del livornese non è quella classica della dissimulazione, ma un secco tiro mancino che rasenta il sarcasmo. Massimiliano ha ritoccato abilmente con estrema e beffarda naturalezza la scena di caccia dipinta dai nerazzurri tra l’innocente lepre e il malvagio cacciatore. Forse gli è venuto in mente un film con Totò o un antichissimo gioco per bambini, detto fatto, ecco la nuova metafora: Guardie e Ladri! Le guardie dietro devono acciuffare i ladri davanti che scappano. Senza intenzione d’offesa a chi è prima in classifica; anche perché quando la Juventus si piazzerà là in vetta fino alla fine, mica diventerà ladrona! Allegri non è tipo da farsi autogol, ma dalla battuta pronta e sagace sì.
Gli interisti probabilmente non sono dei lettori appassionati dell’Orlando Furioso: qui, il poeta reggiano nel trentasettesimo canto ricamò un proverbiale endecasillabo: «che chi mal opra, male al fine aspetta». Chi la fa l’aspetti, caro signor Marotta e compagni nerazzurri, inutile ora prendervela come quasi fosse un oltraggio da lavarlo all’ultimo sangue con un duello all’arma bianca. Non saranno studiosi ariosteschi, ma sono di sicuro furbacchioni ed esperti cacciatori, con tanto di doppietta calibro 20 a tracolla, in quanto sanno benissimo che la Legge Nazionale 11-2-1992 n. 157 - “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale il 25 febbraio 1992, n. 46, S.O. Aggiornata alla L. 4 giugno 2010, n. 96, Legge comunitaria 2009 - ha stabilito che il periodo dell’esercizio venatorio delle lepri deve essere compreso rigorosamente soltanto tra la terza domenica di settembre al 31 dicembre e per chi viola tale divieto vi è come sanzione l'arresto da tre mesi ad un anno o l'ammenda da euro 929 a euro 2.582. Quindi niente caccia alla lepre nel girone di ritorno! Bisognerà rimandare al prossimo autunno per avere sulle tavole imbandite il languido animaletto in salmì. In caso contrario si rischierebbe, tramutando la sanzione penale in sportiva, almeno una penalizzazione in classifica: film dell’orrore già uscito nelle peggiori sale cinematografiche l’anno scorso.
C'è una citazione del celebre drammaturgo veneziano Carlo Gozzi all'interno della sua opera "La Zobeide" che origina il proverbio “a pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina". L’avessero detto quelli del biscione per dare al signor Chinè nuova materia nel caso i bianconeri, ignari, fossero andati a caccia nel periodo vietato? No, non lo credo assolutamente, per carità! Semplice dimenticanza del calendario venatorio: la sportività dell’avversario - momentaneamente primo in classifica - è sacra, tanto è che su Radiobianconera il maestro Andrea Bosco settimanalmente ce la rammenta con aneddoti e amarcord da leccarsi i baffi. Mi permetto suggerirgli di raccontare appena possibile come l’Inter nel 1910 vinse il primo scudetto, affrontando i ragazzini tra gli 11 e i 14 anni della Pro Vercelli nello spareggio finale.
Si può ben evincere che l’esclamazione ironica di mister Allegri, a differenza di quella venatoria, è molto più appropriata: i “ladri” infatti possono essere acciuffati anche da gennaio a maggio, non c’è un periodo nel quale vi è sancito un “divieto di arresto per ladri”. Almeno non ancora.
L’ironia da sempre è uno strumento fondamentale che in tutte le epoche la società ha, accanto alle leggi, per demistificare l’autorità e aiutare ad arginare questa tragica ma inarrestabile tendenza a volte velenosa. Senza scomodare Montesquieu, le battute sottili leggendarie degli avvocati Agnelli e Prisco, resero ancor più uniche le sfide tra Juventus e Inter elevando il calcio a qualcosa di più di un semplice sport, tenendo bene a mente Victor Hugo quando scrisse che dall'ironia comincia la libertà. E allora perché non ricominciare, come in quel tempo epico, senza paraocchi, code di paglia e permalosità, ma con tanta eleganza e cultura?
Cari Lettori defrediani un pensiero piacevolmente martellante mi gironzola nella mente: questa diatriba dialettica messa in piedi dall’Inter, risentimenti, presunte offese et similia, in un momento topico della stagione, significano forse invidia per quanto la Juventus sta facendo e timore di quello che potrà ancor di più fare fino alla fine?
L'Invidia viene raffigurata da Giotto nella Cappella degli Scrovegni come un'anziana donna brutta con una biscia che le esce dalla bocca, simbolo del suo maledire, e le si ritorce contro colpendole gli occhi, secondo il significato letterale etimologico della parola come il difetto del non vedere, del guardare male contro qualcuno: un essere diabolico con corna che spuntano dalla cuffia mentre regge strettamente un sacco, simbolo di avarizia, e ai suoi piedi fiamme che simboleggiano sia l'inferno che il bruciare del desiderio delle cose altrui. Vero è che il biscione dell’Inter ufficialmente è quello che ricorda l’emblema della famiglia Visconti, ma ci è concesso simpaticamente di interpretare i simboli senza aver paura di sorridere?
Sacha Guitry aveva proprio ragione: temere l'ironia, è temere la ragione.
Cordialmente Vostro
Roberto De Frede
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