La forza della Juventus

La forza della JuventusTUTTOmercatoWEB.com
domenica 7 agosto 2022, 13:53Editoriale
di Roberto De Frede
La storia, la leggenda, gli Agnelli, le vittorie, lo stile, la juventinità, in una parola… Juventus!

Da un’immagine tratta dal vernissage di Villar Perosa si comprende cosa è davvero il dna bianconero e quanta forza c’è nella juventinità: un concetto apparentemente astratto, che non compare nei dizionari nè si può insegnare su di una lavagnetta. È uno stato d'animo, una filosofia di vita, che si materializza fino a divenire consapevolezza di far parte di un ambiente leggendario. La juventinità o ce l'hai o non ce l'hai, e quando c’è non c’è forza che può batterla. Capitan Bonucci a fine primo tempo della sfida in famiglia ha regalato, accompagnata con un abbraccio e un bacio affettuoso, la sua maglia n. 19 alla leggenda bianconera Beppe Furino, grande capitano “vincentissimo”, in recupero dopo il grave “infortunio” che l'ha colpito lo scorso febbraio. Una fotografia degna del glorioso archivio della memoria storica bianconera.

C’è un posto nel mondo, diceva Alda Merini, dove il cuore batte forte, dove rimani senza fiato per quanta emozione provi; dove il tempo si ferma e non hai più l’età. Quel posto è tra le tue braccia in cui non invecchia il cuore, mentre la mente non smette mai di sognare. L’abbraccio tra i due capitani, il vecchio e il giovane, è il simbolo della forza della Juventus, di una continuità di emozioni vincenti che non smetteranno mai di emozionare, nelle vittorie così come nelle battaglie perdute con onore. Essere juventini è una emozione, e come una favola da scrivere ogni giorno, dura per sempre in un abbraccio infinito.

In quest’ultima domenica pre-campionato mi sia concesso oggi nel mio editoriale, a mo’ di augurio per la stagione bianconera alle porte, di proporre le gesta di uno dei calciatori più vincenti di sempre, capitan Furino, tratte dal mio libro “Ritratti in bianconero”.

Beppe Furino - Il quattro bianco cucito sul quadratone nero ha avuto un unico padrone nella Juventus degli anni Settanta: Beppe Furino, al secolo Giuseppe. Quel numero è la rappresentazione simbolica del senso pratico, della concretezza e della laboriosità. Furia, suo nomignolo, è il mediano, il centrocampista incontrista e cursore con il fisico da fantino, indomito agonista, agisce a ridosso della sua retroguardia, difendendola valorosamente. Affascinato dai meccanismi del calcio, appena comincia la partita si mette lì, nei pressi della linea mediana, e si diverte a smontare gli ingranaggi della squadra rivale come fossero quelli di un orologio.  Rimane incollato come un’ombra minacciosa al numero dieci nemico, annullandolo, rubandogli la palla, creando la famosa superiorità numerica e spegnendo così la luce del gioco avversario. Spietato nel contrasto, siculo passionale, non si tira mai indietro, in ogni mischia che si rispetta, lui è presente. Un furetto veloce, con una visione tattica da regista arretrato, tecnicamente niente male, tanto è che nelle giovanili della Juventus – il mito racconta – fa un tunnel addirittura a Enrique Omar Sivori. Un gregario sui generis, un soldato semplice, diventato capitano di uno squadrone. Difensore valoroso dei colori che indossa, leale, disinteressato, un vero paladino, come il conte Orlando, che tante volte avrà ammirato nelle rappresentazioni all’Opera dei Pupi. Nasce a Palermo il 5 luglio 1946. Cresciuto a livello sportivo nel vivaio della Juventus, attira subito le attenzioni di Renato Cesarini, grande mezzala sinistra del Quinquennio bianconero degli anni Trenta. Nel campionato ’66-67 i piemontesi lo danno in prestito in Serie B al Savona, dove diventa titolare. Dopo la retrocessione dei liguri, disputa con loro un campionato di Serie C, prima di venir ceduto in prestito, in massima serie, al Palermo nella stagione ’68-69, con diritto di riscatto fissato a trenta milioni di lire. La squadra rosanero, dopo aver conquistato una meritata salvezza, non esercita il diritto di riscatto, e dall’estate del ’69 torna in seno alla Juventus. Mentre a Liverpool usciva Abbey Road, l’ultimo album in studio inciso dai favolosi Beatles, il 14 settembre del ’69 lui esordisce con i bianconeri; per uno scherzo del destino, nella prima di campionato la Juventus affronta al Comunale proprio il Palermo. La partita non ha storia. I siciliani passano in vantaggio dopo soli quattro minuti, ma la reazione delle zebre è rabbiosa. Una doppietta dell’ala tedesca Haller e un gol di Leonardi mettono le cose a posto. A dieci minuti dalla fine, ci pensa proprio lui, Beppe Furino con una incursione nell’area isolana a siglare di sinistro la rete del definitivo 4 a 1, cominciando nel migliore dei modi la sua lunga e splendente carriera. Il suo stile di gioco, da sentinella della propria metà campo, da libero durante le frequenti avanzate di Scirea e da interditore puro a coprire le sgroppate di Tardelli, lo porta a realizzare pochi gol: in quindici anni di Juve sono state soltanto diciannove, in 534 partite. Ciononostante un gol storico è suo: quart’ultima giornata del campionato ’76-77, sabato 30 aprile. Al Comunale di Torino va in scena l’anticipo contro il Napoli. La Juventus, che lottava con i granata per lo scudetto, reduce dal pareggio di Perugia, era obbligata a vincere. In vantaggio con Bettega, viene raggiunta dai partenopei nella ripresa. La squadra bianconera era in difficoltà, il Napoli la metteva sotto, e un autentico nubifragio si abbatte sul terreno di gioco. A quattro minuti dal termine, quando lo spettro del sorpasso del Toro si stava oramai materializzando, ecco che, tra grandine e fango, sudore e fatica, spunta la zampata vincente di capitan Furino, che raccogliendo un lob perfetto di Causio, scaraventa il pallone del diciassettesimo scudetto della storia bianconera alle spalle di Carmignani. All’ombra della Mole Antonelliana, nel corso di tre lustri, Furino vince otto scudetti, due Coppe Italia, una Coppa Uefa e una Coppa delle Coppe. Chiude la carriera in bianconero il 6 maggio dell’84, quando Trapattoni gli concede il secondo tempo di Juventus-Avellino, a ennesimo scudetto ormai acquisito, onorando una carriera leggendaria. In Nazionale conta soltanto tre presenze. Vicecampione del mondo in Messico nel 1970, nonostante sia della spedizione azzurra, non riesce ad esserne protagonista, giocando solo il secondo tempo della sfida della fase a gironi contro l’Uruguay. Con i C.T. non c’è una buona intesa, ma lui non è giocatore da dichiarazioni polemiche o da grandi proclami: l’azzurro non è stato un suo rimpianto. Ha avuto gloria ugualmente con una casacca azzurra, un azzurro di un mare in tempesta: contro l’Atletico Bilbao nella battaglia finale del San Mamés. Era il 18 maggio 1977. Furino, dopo aver resistito all’assedio dei baschi nel fortino innalzato con l’aiuto dei suoi prodi compagni, alza al cielo di Spagna la Coppa Uefa, il primo trofeo internazionale della Juventus, la sua unica vera nazionale. Parafrasando il titolo di un film di Elio Petri, con Furino la classe operaia era andata in paradiso: il mediano stacanovista con una sola divisa per tutta la vita, quella a strisce bianconere. Capitano con l’elmetto e bandiera. Vessillo non solo sventolante in cima ad un pennone, ma combattente sul terreno di tutti i campi. Beppe Furino, cuore e simbolo di juventinità.

Ad maiora semper, mia Juventus!