Juventus, il circolo vizioso del risparmio: così non si costruisce mai niente

Negli ultimi anni la Juventus è diventata l’ombra di sé stessa. Non vince più, non convince, e soprattutto non costruisce. Si affida a toppe, rattoppi, cambi continui di direzione tecnica, cessioni dolorose e operazioni al ribasso. Dietro ogni stagione fallimentare c’è una verità cruda: la Juve è costretta a rifondare senza i mezzi per rifondare davvero.
Ogni estate o quasi è lo stesso copione: la proprietà, la famiglia Elkann, è costretta a intervenire con aumenti di capitale per coprire i debiti e tenere in piedi la baracca. Ma quegli aumenti, invece che essere un investimento per tornare a vincere, finiscono solo per tappare i buchi. E il mercato? Una corsa a ostacoli. Pochi soldi, poche idee, tante urgenze. Si cerca di vendere chi non ha mercato, si svendono i giovani migliori, e poi si reinveste in soluzioni d'emergenza. Il risultato: squadre fragili, incoerenti, tecnicamente sbilanciate, senza anima né identità.
Questo approccio ha un nome: miopia industriale. Perché se ogni anno devi mettere soldi per rimettere a posto i conti, perché non immettere più capitale una volta per tutte, ma con l’obiettivo di costruire e non solo rattoppare? In termini pratici: se l’anno prossimo rischi di ripianare 200 milioni… tanto vale immetterne 400 adesso, mettere in mano a Damien Comolli una vera possibilità di costruire una squadra sensata, e poi lasciare che sia il campo – e i risultati – a riportarti entrate da Champions, sponsor, stadio, merchandising.
Altrimenti è un eterno ritorno dell’identico. Si parte da zero ogni volta, nuovo allenatore, nuovo modulo, nuovi esuberi da piazzare, con la differenza che i talenti migliori (come Soulé, Hujsen, un giorno Yildiz) vengono sacrificati, mentre i giocatori che nessuno vuole restano a libro paga. La sensazione è che la proprietà consideri la Juventus più come un fardello che come un’opportunità. Fa il minimo per evitare il collasso, ma mai il massimo per rilanciare. Non si investe per costruire: si spende per sopravvivere, ma in questo modo non si genera mai valore, né sportivo né economico. Oggi servirebbe coraggio, ovvero un piano di rilancio reale con un aumento di capitale non per salvare, ma per creare. Dare stabilità tecnica e finanziaria, quindi fare mercato senza il cappio al collo, trattenere i migliori, anziché svendere tutto per fare cassa e così via.
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