Mancini, Pioli, Inzaghi, Tudor o Marco Silva? cinque idee, un solo posto, mille incognite

C’è qualcosa di romantico, quasi leopardiano, nella Juventus che cerca un allenatore. Lontani i tempi delle idee chiare e delle scelte tempestive, oggi a Torino si ragiona per algoritmi, suggestioni, cenette riservate e veti incrociati. Si guarda al mercato come chi guarda il mare: sapendo che la barca è mezza sfondata e la bussola smagnetizzata.
Nel frattempo, cinque nomi – diversi, distanti, disuguali – danzano attorno alla panchina più pesante d’Italia. Ognuno con un bagaglio, un’ambizione e qualche crepa. Vediamoli, uno per uno, con pazienza.
Roberto Mancini: il Principe Esiliato
È il più titolato, il più elegante, il più navigato. Ma anche quello più lontano – fisicamente e spiritualmente – da Vinovo. In Arabia ha trovato quello che cercava: silenzio, potere e un conto in banca da romanzo. Tornare in Italia, e alla Juve significherebbe sporcarsi le mani in un cantiere, senza garanzie, senza lusso. Ad ogni modo, ha esperienza, personalità, capacità di tenere uno spogliatoio (anche con troppi galli). Come difetti, forse poca voglia di tornare in trincea. E la Juve, oggi, è solo trincea.
Stefano Pioli: il Maestro Normale
Non grida, non divide, non incendia. Pioli è un tecnico solido, umano, empatico. Ha vinto uno Scudetto con il Milan e questo basterebbe, in altri tempi, a chiudere il discorso. Ma oggi gli si rinfacciano gli infortuni, le coppe perse e una certa “normalità” che al tifoso juventino, abituato alla grandeur, non fa battere il cuore. Come pregi è un gestore, lavoratore, è sereno. Porta equilibrio in un ambiente isterico. Difetti: tatticamente non rivoluzionario. E dopo Allegri, forse servirebbe qualcosa di più che solo calma.
Simone Inzaghi: l’Impossibile Necessario
Inzaghi alla Juve è come una poesia di Montale in mano a un ultras: affascinante, ma incompresa. Non è solo questione di rivalità. È che Simone è finalmente diventato re a Milano, e tornare a fare il costruttore a Torino sarebbe una bella sfida per lui. Ma se ci fosse stato Giuntoli – che lo aveva contattato tempo fa, a cena, lontano dai riflettori – forse qualcosa sarebbe potuto nascere. Ad ogni modo, oggi è difficilmente raggiungibile, e comunque troppo “interista” per essere accettato da subito.
Marco Silva: l’Intruso con Algoritmo
Portuguese, yes. Ma niente a che vedere con Mourinho. Marco Silva è l’uomo uscito dal cappello di Comolli. Uno di quei nomi che a metà stagione non conosce nessuno, e a fine stagione qualcuno scopre. Ha fatto bene al Fulham, ha idee, ha metodi, ha anche un procuratore (Jorge Mendes) che parla con tutti. Però... la Juve? Tatticamente moderno, gioco propositivo, ambizioso, ha di contro un curriculum da Premier di seconda fascia. Insomma, non parla la lingua della Juve (non solo in senso letterale).
Igor Tudor: il Reietto di Croazia
L’unico già seduto su quella panchina, non si sa se per poco (a sentire i giornali un giorno sembra confermato per la prossima stagione, un altro torna in bilico....). Un uomo di campo, di spogliatoio, a volte ruvido. Ha il pregio raro di non essere ipocrita: dice quel che pensa e paga quel che dice. Ma alla Juve, dove anche i pensieri devono passare per l’ufficio comunicazione, Tudor sembra fuori posto. Pregi:, conosce l’ambiente, sa fare il pompiere e il muratore. Difetti: è considerato un traghettatore, stranamente poco gradito ai piani alti, o almeno coì si dice. Sta sulle spine da settimane e questo lo sa.
Epilogo (provvisorio, come tutto in casa Juve)
In questa storia non ci sono buoni e cattivi. Solo uomini, idee, contraddizioni. Il vero problema non è scegliere uno dei cinque: il problema è che nessuno di loro sa davvero chi decide, quando si decide e con quali obiettivi. Chiunque arriverà – sia un normalizzatore come Pioli, un outsider come Silva o un nostalgico come Mancini – si troverà in un club senza una vera e propria direzione sportiva, almeno così da fuori, e con un mercato che bussa già da un mese. Serve chiarezza, serve visione. Ma soprattutto, serve qualcuno che – più dell’algoritmo – sappia ascoltare il pallone. E oggi, di uomini così, se ne trovano pochi. Anche nella Vecchia Signora.
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