Alla Juve, un futuro campione del mondo…

Ci si sta per imbattere in uno strano campionato del mondo: né quello che ha fatto sognare generazioni intere fatto di inni nazionali e mani sul cuore, né quello che un tempo chiamavamo “la coppa Intercontinentale”. Un campionato del mondo composto di tante "amichevoli" estive, colpevole di far saltare quasi completamente la preparazione atletica e rinviando non di poco i colpi di mercato. Così deve andare, non c’è niente da fare. Che sia almeno uno spettacolo bello e appassionante, sicuramente caldo e insonne visto il fuso orario; che sia un ennesimo primo approccio positivo e propositivo della Juventus che verrà, augurandole di andare il più lontano possibile nella competizione del Nuovo Continente.
Questo titolo così altisonante di “campionato del mondo” non può che far venire alla mente i veri campioni del mondo, tanti con il marchio bianconero stampato nell’anima. E di quanti di loro (e come loro) oggi la Juventus avrebbe bisogno, non solo in questo torneo, ma per l’intera stagione futura!
Era il 2002, e Somethin' Stupid, - brano musicale composto da C. Carson Parks, la cui versione più famosa fu quella realizzata nel 1967 da Frank Sinatra e sua figlia, Nancy Sinatra, per l'album The World We Knew -, nella versione cantata da Robbie Williams e Nicole Kidman, faceva sognare. Il protagonista descrive una serata con la persona amata, iniziata quasi con un piccolo stratagemma, convincendola a uscire insieme. Tuttavia, dietro la sua sicurezza apparente si nasconde un’inquietudine profonda, proprio il timore di rovinare tutto quando il momento diventa perfetto. Il significato della canzone si racchiude in questa sorta di lotta. Da un lato c’è l’atmosfera romantica, con dettagli evocativi come il profumo dell’altra persona, le stelle che sembrano colorarsi e brillare, la notte blu. Dall’altro, c’è il rischio di sembrare banale, di usare parole che l’altra persona potrebbe aver già sentito tante volte e che quindi perderebbero significato. Eppure, per lui quelle parole – ti amo – non sono affatto scontate. Anzi, sono una verità profonda che però fatica a esprimere. Il significato di Somethin’ Stupid cattura proprio quel momento in cui l’emozione prende il sopravvento: nonostante tutta la preparazione e le paure, lui si lascia andare e dice quello che prova, anche se non è sicuro che verrà capito o accettato. In amore, nelle passioni, nella vita... nulla è stupido se a spingere è l'emozione!
Nell’anno in cui la Juventus conquistava il suo 26° tricolore e il Brasile la quinta coppa del mondo, alla corte della Vecchia Signora approdava un ragazzino che sapeva trasformare i sogni in dribbling, che si lasciava andare al suo puro istinto, facendo capire a tutti che mai può essere Somethin’ Stupid esprimere amore in ogni modo: con parole, pensieri, fantasia e gol.
Mauro German Camoranesi
Un sedici stampato sulla casacca, che a guardarlo bene è un meraviglioso sette, il numero dell’ala destra. Tecnicamente completo, giocoliere funambolico, estro e fantasia da vendere, un perfetto controllo della palla dal tocco vellutato. Palleggiatore sopraffino, il suo dribbling è largo o stretto, a seconda delle circostanze, ma preferisce superare gli avversari che gli contrastano il passo con perfette finte eseguite con il tronco, andandosene poi sia sulla destra che sulla sinistra. Ferma il pallone di botto, lo lascia lì in mezzo, davanti all’avversario, immobile. Muove appena l’anca, come in un passo di tango, il terzino abbocca e finisce a terra, dopo aver subito un irriverente tunnel, e lui già lontano, capelli al vento, lì verso la meta. Nella sua faretra, la velocità e il tiro che, specie in corsa, riesce quasi sempre micidiale. Collabora sempre con i compagni di linea ma, quando gli sembra opportuno, va per suo conto e risolve le situazioni da solo, anche se la spalla con la quale meglio se la intendeva fosse un elemento della classe e versatilità di Pavel Nedved.
Le sue galoppate danzanti su quella striscia verde di prato lunga e stretta, sfiorata dal gesso della linea laterale, sono uno spot per il calcio; sono raggi di sole che riscaldano la fredda Torino e donano agli spettatori gioia, alla quale non ci si abitua mai. Guardarlo sfilare rapido e leggero tra i difensori avversari, senza neppure sfiorarli, quasi una sintesi felice tra Speedy Gonzales di McKimson e l’Uomo Invisibile di Wells, vale il prezzo del biglietto.
Il pallone da lui accarezzato risponde in sincrono ai suoi modi e alla sua andatura caracollante, che passa da un’inspiegabile indolenza, a momenti di pura e autentica spettacolarità. I suoi trentadue gol in bianconero sono tutti confezionati col marchio di fabbrica della magia: missili terra-aria a volo dal limite dei sedici metri, di rapina in area di rigore dopo ubriacanti zig-zag, e colpi di testa con grandi stacchi volanti, pur non essendo un gigante.
A giusta ragione è soprannominato il mago di Tandil, sua città natale argentina, dove nasce il 4 ottobre 1976. In campo, in determinate partite, si trasforma in un caliente e oscuro lavoratore del centrocampo, botte date e prese, grinta mai appannata e corazón che non tradisce; orgoglioso e fiero, come quando con gli altri quattro paladini dagli altisonanti nomi – Del Piero, Buffon, Nedved, Trezeguet – decide di seguire la Juventus all’inferno, non lasciandola sola, per riportarla in paradiso. Uno dei giocatori di culto del recente passato del calcio italiano, con la sua immagine diventata iconica, idealizzandolo su di un criollo montato alla maniera vaquera, come i gauchos di Río de la Plata, con la coda di cavallo di un samurai giapponese, gli occhi dal taglio orientale e il pizzetto mefistofelico.
Dopo le prime esperienze in Argentina, Messico e Uruguay, nell’estate del 2000, viene acquistato dal Verona. Con i gialloblù disputa due ottimi campionati, tanto è che nel 2002 passa alla Juventus, dove fa il suo esordio vittorioso il 15 settembre contro l’Atalanta. Diventa titolare inamovibile per otto stagioni, disputando 288 partite e vincendo con i bianconeri tre scudetti e due supercoppe italiane. Dopo un’esperienza allo Stoccarda e al Lanus, appende le scarpette al chiodo nel 2014 giocando con il Racing de Avellaneda.
Grazie alle sue origini italiane, essendo il bisnonno marchigiano, e alla miopia del C.T. Bielsa che non lo considera per la nazionale argentina, l’oriundo Camoranesi viene convocato dall’Italia di Trapattoni nel 2003, debuttando in una amichevole contro il Portogallo. Continua a far parte del gruppo azzurro per sette anni, diventando l’oriundo più utilizzato in azzurro, con 55 presenze e quattro reti, partecipando a due Europei e due Mondiali. La gloria azzurra arriva con la convocazione di Lippi per la spedizione in Germania nel 2006. Lì è campione del mondo, giocando da protagonista cinque splendide partite, comprese la semifinale e la finale contro la Francia all’Olympiastadion di Berlino. Per una scommessa, in mondovisione, sull’erba fresca di vittoria, prima di alzare al cielo la coppa del mondo, si fa tagliare il codino dal suo compagno Oddo, perdendo l’aspetto da nobile guerriero giapponese, ma entrando per sempre nella leggenda azzurra.
Non esiste grande genio senza una dose di follia, e lui, in campo e fuori, non ha mai lesinato di dare esempio sia del primo che del secondo, facendo della schiettezza una delle sue doti principali.
Mauro German Camoranesi, l’Albiazzurro dal cuore bianconero.
Roberto De Frede
Tratto da "Ritratti in bianconero" di Roberto De Frede - https://www.amazon.it/dp/B092PKRN38?ref
Iscritta al tribunale di Torino al n.70 del 29/11/2018
Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246
Direttore responsabile Antonio Paolino
Aut. Lega Calcio Serie A 21/22 num. 178
