Chi dice che Allegri non parla di scudetto?
La scaramanzia, quella particolare forma di superstizione fatta a mo’ di scongiuro, declamando formule magiche o maneggiando amuleti cui si attribuisce la capacità di allontanare la iettatura e il malocchio, viene usata per propiziarsi la fortuna. Lo sport, ed in particolare il calcio, è una delle sue patrie più prolifiche. Michael Jordan, probabilmente il più grande cestista di ogni tempo, giocò per tutta la carriera indossando sotto la divisa ufficiale dei Chicago Bulls i pantaloncini dell’università del Nord Carolina. Chi non ricorda ai Mondiali del ’98, prima del fischio di inizio delle partite della Francia, il bacio di Blanc sulla pelata di Barthez. E a Barthez è andata anche bene: Cruijff invece dava uno schiaffone sullo stomaco del proprio portiere, l’estroso Jongbloed! Marco Tardelli, nella finale del 1982 contro la Germania, scese in campo con un santino nel parastinchi. Con Pelé poi si rasenta quasi la mitologia: dopo aver regalato una maglia a un tifoso, “O Rei” - la leggenda narra - iniziò a sentirsi debole e non in forma. Chiese, anzi, ordinò ad un suo amico di ritrovare il ragazzo e riprendersi la maglia. Effettivamente l’amico riportò la maglia e l’attaccante tornò a essere il Pelé devastante… peccato che la maglia non fosse quella che stava cercando, ma quella che aveva indossato solamente sette giorni prima. Ovviamente tutti questi, e molti altri, hanno vinto e perso senza nessuna correlazione di causa-effetto con i propri rituali propiziatori. Eppure…
Spesso quella famosa fortuna la si propizia (o meglio si crede di propiziarla in un certo modo) non pronunciando la parola corrispondente all’obiettivo da raggiungere, semmai infarcendo il discorso con un giro di parole, con l’ausilio della metafora.
Nel 1651 Thomas Hobbes bandì dal linguaggio politico l'uso metaforico delle parole. Non si trattò di un editto fortunato: le metafore politiche non solo non sono scomparse, ma si sono anzi moltiplicate al punto che oggi è difficile anche solo contarle. Era facile, d'altronde, prevedere che quella condanna non sarebbe stata eseguita. Troppo singolare la circostanza che, per il nascente stato moderno, Hobbes stesso avesse escogitato una metafora sbalorditiva, quella del gigantesco mostro mitologico descritto nella Bibbia, il Leviatano. Ma, soprattutto, era troppo antica la storia delle metafore politiche per poter esser recisa da un ordine, per quanto autorevole. Oggi le metafore sono consentite, non hanno subito editti hobbesiani e si incastrano benissimo in un linguaggio che ha molto del politico, quello calcistico.
Le metafore sono dappertutto, anche se di solito non ce ne rendiamo conto. Perfino l'affermazione “le metafore sono dappertutto” è una metafora, perché utilizza un avverbio di luogo per alludere a una realtà concettuale. Ma quando si dice «sono dappertutto» non si esagera: esse sono nel diritto, nella psicoterapia, nella medicina, nella pubblicità, nella letteratura e ovviamente nelle conferenze stampa di Massimiliano Allegri.
Il mister livornese ha esclamato che l’obiettivo per questa stagione è la ZONA CHAMPIONS. Giornalisti e mondo sportivo hanno tratto subito una conclusione di loro gradimento: la Juventus giocherà il campionato non per vincerlo ma per tentare di arrivare tra il quarto ed il secondo posto, i famigerati posti champions!
Poverini, forse non sono molto avvezzi alle figure retoriche, a quegli artifici meravigliosi e illuminanti della lingua italiana. La metafora è una scatola magica da cui si possono estrarre nuove consapevolezze e emozioni profonde, e da quella esclamazione del mister desidero trarre la più bella!
Voi fate come più vi pare, ricordando a coloro che sono affetti da allergia alle metafore e a tutti i seguaci dell’editto di Hobbes, che chi vince lo scudetto è in zona champions!
Roberto De Frede
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