Il VAR ovvero l’anticalcio e quella malsana illusione di giustizia.

Il VAR ovvero l’anticalcio e quella malsana illusione di giustizia.TUTTOmercatoWEB.com
domenica 14 gennaio 2024, 22:18Editoriale
di Roberto De Frede
Un giorno le macchine riusciranno a risolvere tutti i problemi, ma mai nessuna di esse potrà porne uno. (Albert Einstein)

Ricollegandoci al pensiero di Einstein, poniamo noi un problema: questa macchina, manovrata così maldestramente, ha davvero risolto tutti i problemi? Sicuramente se il VAR fosse stato inventato alla fine del Cinquecento, Francesco Bacone non l’avrebbe inserito accanto alle tre invenzioni che a suo giudizio mutarono l’assetto del mondo: l’arte della stampa, la polvere da sparo, la bussola. La tecnologia dovrebbe venire in ausilio dell’uomo. Il VAR sarebbe dovuto essere la manna dalla cabina di regia per la risoluzione di tutti gli episodi dubbi in campo, visti, non visti o mal visti. Non è stato così.

L’ultimo scempio di un elenco che non ha fine: Bastoni, difensore dell’Inter, dopo la gomitata, gesto antisportivo per antonomasia, al veronese Duda doveva essere espulso, e il gol nerazzurro di qualche secondo dopo, annullato. Nulla di tutto questo è successo: gli occhi del VAR sono stati accecati da una lama tartara incandescente, rivivendo il dramma di Michele Strogoff. Dopo il fattaccio, il designatore arbitrale ha giustificato il tutto adducendo la soggettività del VAR e chiosando con un gratuito umorismo ha ricordato che in fin dei conti un rigore il Verona lo ha avuto, ma lo ha sbagliato. Senza parole. La moviola in campo, tanto urlata e invocato dal compianto Aldo Biscardi, sarebbe stata utile se avesse apportato una certezza obiettiva alle scelte arbitrali. A questo punto, soggettività per soggettività ci teniamo solo l’arbitro in campo e la federazione risparmierebbe anche un bel po’ di stipendi!

La domanda sorge spontanea: i varisti che ci stanno a fare? Guardano la partita al monitor sgranocchiando noccioline americane sorbendo chinotti? Fanno a gara a chi è meno bravo, se loro seduti e comodi o i colleghi in campo, affannati e sudati per guadagnare punteggio in una improbabile e fantomatica classifica interna delle giacchette nere? Il problema non è la tecnologia, ma l'uso che se ne fa. Ogni cosa comporta dei rischi, l'importante è esserne consapevoli e valutare se il prezzo che paghiamo è adeguato a quanto riceviamo in cambio. Il regolamento del gioco del calcio ormai è affetto da varismo, una brutta infiammazione alle cornee che offusca la vista dai novanta ai centoventi minuti circa, riuscendo a malapena a distinguere solo i colori delle magliette. La medicina ci sarebbe, ma il prezzo è altissimo e poi ci sarebbe troppa imparzialità, molti si troverebbero a disagio con un regolamento che rasenterebbe la giustizia, quella giusta.

Fino a qualche tempo fa, ma forse ancora oggi, l’unico dubbio (come se gli altri fossero tutti risolti!) che assaliva i fautori della macchinetta infernale, era conoscere il suo genere, forse per capire se tinteggiare di azzurro o rosa la sala parto, pardon, la sala var. Insomma è maschietto o femminuccia? Come vorrei, dopo aver sciolto questo dubbio inutile ai più, svegliarmi ed esclamare: meno male è stato solo un incubo, ricominciamo a giocare! Nella lingua italiana le sigle derivano il loro genere dalla parola principale, e in questo caso, se vogliamo ragionare esclusivamente sull’inglese, oltretutto il problema non si pone nemmeno per la grammatica, dal momento che tutti i sostantivi che esplicitano la sigla (video, assistant, referee) sono riconducibili al genere maschile e hanno da tempo un corrispettivo maschile italiano (video, assistente, arbitro). Nientedimeno è stata fatta scomodare l’Accademia della Crusca per stabilire che dinanzi a VAR si deve mettere l’articolo il, proseguendo la tradizione quindi degli arbitri con i maschi baffi alla Concetto Lo Bello.  VAR è l’acronimo di Video Assistant Referee, che letteralmente si traduce con arbitro assistente video, ma una versione più poetica potrebbe essere assistente (dell’arbitro) al video, visto che il direttore di gara necessita di tanta ma tanta assistenza, materiale e spirituale. Niente incubo, purtroppo son desto… è tutto vero, il VAR esiste.

Il VAR, usato come soffia il vento, è l’anticalcio.

Vladimir Dimitrijević, nel suo meraviglioso libretto edito venticinque anni fa dal titolo La vita è un pallone rotondo scriveva: «Perciò io sono per l’arbitro che decide, che impone, che non indice un referendum prima di stabilire se c’è o non c’è fuorigioco, se il gol è valido o no. Dicono che bisognerebbe piazzare telecamere ovunque, e sorveglianti dietro ciascun palo delle porte. Perché allora non commissioni dell’ONU, gruppi di esperti, qualche avvocato newyorkese e i carri armati della “comunità internazionale”, per correggere un errore volontario o involontario (umano) dell’arbitro? Accettare l’errore umano, ribellarsi con dignità alla giustizia spietata delle macchine o degli uomini-macchina!». Come dargli torto oggi? Il problema è sempre lo stesso: trovare la giusta misura di tutte le cose, ma solo i filosofi lo sanno fare, e i varisti tutto sono fuorché saggi pensatori.

Il VAR è come un elettrodomestico, inutile quando è usato troppo poco, dannoso quando lo si usa male e spesso, la cui regola fondamentale ha ad esempio già un grave errore intrinseco. Chi ha detto che un non chiaro e non evidente errore non possa portare ad uno stravolgimento totale di una partita e di un torneo? Perché quindi – visto che ormai lo abbiamo tra i piedi! – limitare il VAR a circostanze particolari e non sempre chiare e invece non utilizzarlo sempre (o mai!)? Forse perché le partite durerebbero giorni interi? E allora bisogna rivedere di nuovo il tutto, perché non si può sanzionare solo un reato grande, lasciando passare per buono quello piccolo e solo apparentemente meno grave. I reati, tutti, vanno regolamentati e sanzionati, e soprattutto visti. Lo scopo dell’uso della tecnologia sui campi di calcio sarebbe quello di far diminuire gli errori e aiutare l’arbitro; purtroppo in moltissimi casi invece di far chiarezza, aumenta la confusione, e con presunzione si vorrebbe far credere di avere in pugno la verità assoluta e giusta.

È soltanto una diabolica illusione di giustizia, perché non si fa altro che aumentare la discrezionalità della giacchetta nera (ma quale?), la quale oltre a interpretare ciò che accade in campo in diretta, deve pure farlo dinanzi la moviola, sbagliando spesso, come normalmente farebbe senza. Ignorare la gomitata di Bastoni! Non l’hanno vista? C’è buona fede? Sostituire tutti i varisti. L’hanno vista? C’è puzza di mala fede? Sostituire tutti coloro che scelgono i varisti. Paradossalmente i calciatori, ma anche i tifosi, accetterebbero di buon grado più un errore decisionale in campo, dal sapore antico e romantico, che non quello commesso grazie al presuntuoso VAR, usato o ignorato.

In ogni modo chi ama il pallone vero, quello che emoziona, non riesce ad accettare quella cabina di regia nella quale si riduce il calcio ad un freddo algoritmo. L’uso della tecnologia del VAR è utile, se proprio ci deve star per forza, solo per tirare linee geometriche, ma non per le azioni in cui la decisione arbitrale è necessaria perché insita al calcio giocato di quell’istante: l’arbitro è esso stesso una pedina del football e le sue decisioni, giuste o sbagliate, vanno accettate, come si accettano le condizioni meteo, lo stato del terreno di gioco e le urla dei tifosi avversari. Altrimenti tutto sarebbe opinabile, anche una decisione del VAR sempre soggettiva, sarebbe passibile di un grado superiore di giudizio, e le partite andrebbero tutte in Cassazione con tempi biblici per conoscere il risultato finale. Quanto alla geometria, non esageriamo. Come si fa a chiamare un fuorigioco per meno di un centimetro, che sia un capello, la punta del naso o altro? Il povero Pippo Inzaghi sarebbe morto di crepacuore vedendosi annullati la quasi totalità dei suoi favolosi gol… sul filo del fuorigioco!

Il VAR è un oggetto orwelliano, una specie di grande fratello che condiziona tutti: giocatori, allenatori, spettatori, commentatori e… arbitri! La conseguenza nefasta della sorveglianza è l’autocensura, così il risultato sicuro del VAR è la perdita di spontaneità, anima dello sport e del calcio. Il gol è come la poesia, se non nasce con la stessa naturalezza delle foglie sugli alberi, è meglio che non nasca neppure. Il VAR è colpevole di un altro reato morale: annulla non solo i gol, ma la gioia dell’esultanza. Il goleador deve congelare la sua emozione, fermare i battiti del cuore, per poi freddamente regalarsi e regalare l’esultanza ormai fasulla soltanto dopo che l’arbitro è andato gratis a vedere il filmino, ha dialogato con i suoi compagni di ciak e tornando impettito al trotto verso il campo, compie con le manine un gesto che rappresenta un quadrato, metafora della perfezione…

Ma ci rendiamo conto di cosa stiamo assistendo? Vi sembra tutto normale? Tutto accettabile? Questo è il calcio? Siamo proprio sicuri? Il Var, usato male senza buonsenso, aggiunge soltanto tanta rabbia, tanti dubbi e toglie la creazione spontanea, l’anima fanciullesca dello sport che è la ragione per cui c’è qualcosa invece di nulla, per cui esiste l’attimo, per cui esistiamo noi. Quanto paventato da Vladimir Dimitrijević, ossia il ricorso a commissioni e avvocati, purtroppo si è già realizzato. Ma l’idea che si debba ricorrere a una sorta di Cassazione calcistica per ottenere la giustizia negata in campo è il sempre classico rimedio peggiore del male. Qui il rischio di uccidere il football è molto serio. L’uso della tecnologia del VAR è controproducente per le azioni in cui la decisione arbitrale è necessaria perché perfettamente indigena al calcio: l’arbitro è esso stesso football e le sue decisioni, giuste o sbagliate, vanno accettate. Gli errori sono il volto terreno del Gioco. Sono il limite umano che fa sì che gli uomini siano giocatori. Gli errori sono tali sul piano intellettuale della ricostruzione dell’azione, ma sul piano della giocata sono passione. È qui sul terreno da gioco in cui la passione si abbandona a se stessa e va oltre il controllo di sé che nascono inevitabilmente i falli. Per fortuna, sì, proprio fortuna perché senza falli non ci sarebbe partita.

«Ammesso pure che noi vogliamo la verità: ma perché non piuttosto la non verità? o l’incertezza? o persino l’ignoranza? Ci si è fatto innanzi il problema del valore della verità – o forse siamo andati noi in cerca di tale problema?». Con queste righe visionarie, scritte nel 1886 in Al di là del bene e del male, Nietzsche poneva una questione profonda che avrebbe tenuto in scacco la società occidentale moderna e contemporanea: la volontà di verità. Nelle nostre vite noi ricerchiamo sempre la verità, in ogni contesto e in qualsivoglia circostanza. Se però l’ansia di verità è decisiva in ambito scientifico, non è altrettanto necessaria in campi differenti come ad esempio quello letterario, artistico, cinematografico. Che ci importa se i personaggi di un libro sono reali, o se la Gioconda rappresenta davvero Lisa Gherardini? Assolutamente nulla. Noi però siamo da sempre portati a pensare che la parola verità debba andare di pari passo con la parola giustizia: se una cosa è vera è giusta, se è falsa è sbagliata.

Così accade anche nel mondo del calcio in cui la volontà di verità, incoraggiata dalla tecnologia e dalla scienza contemporanea, si identifica con una volontà di giustizia. Da qui la necessità e quindi l’introduzione del VAR. E immaginiamo cosa ne sarebbe stato di quell’Argentina-Inghilterra 1986 con la sua compare tecnologia, che tutto vede e tutto sa: con l’inopportuno aiuto del VAR forse l’Argentina non avrebbe vinto il mondiale; Maradona non avrebbe messo a segno nella stessa partita i due gol più iconici del ‘900, e magari a passare sarebbero stati gli Inglesi, visto che al manifestarsi della Mano de Dios la partita era ancora a reti inviolate. Nessun mito di popolo, nessun sacro mischiato col profano, nessuna epica e leggenda. Niente vendetta per le Malvinas né rivincita dei deboli i quali, con un genio anarchico che è solo sudamericano e mediterraneo, hanno fatto la storia.

Il calcio è poesia, non ha bisogno di verità assolute, né di acronimi di genere maschile. Come sarebbe bello il lunedi mattina rivivere le partite della domenica, chiacchierando animosamente di solo vero calcio al BAR dello Sport! Purtroppo ci è stata tolta anche questa prerogativa, perchè ciò che si faceva al BAR dopo le partite, oggi accade al VAR durante le partite!

Roberto De Frede