L’immortale juventinità

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© foto di Gianfranco Irlanda
domenica 26 marzo 2023, 19:47Editoriale
di Roberto De Frede
Come non credere nell’immortalità dell’anima, quando senti nell’animo una grandezza così smisurata! (Lev Tolstoj)

Negli ultimi vent’anni, senza andare troppo a ritroso nel tempo, tanti hanno voltato le spalle alla Juventus, o peggio si sono rivolti contro, con l’obiettivo di abbatterla, di farle perdere la stima e la gloria conquistata, di toglierle potenza e vigore sportivo insiti già nel suo nome di battesimo, e rafforzati di giorno in giorno nel corso della sua plurisecolare storia. Quei tanti. Gli invidiosi, i traffichini, i politicanti: tutta gente il più delle volte seduta in giacca e cravatta, che ha sempre svolto le proprie attività con scarsa competenza, per lo più con mire ambiziose per trarne vantaggi personali, che hanno sempre in bocca le grandi e nobili parole e la solenne falsa indignazione, intrallazzari, ambiziosi di bassa specie, li avrebbe appellati il Croce.

Come nell’annus horribilis calciopolesco, in questi ultimi mesi molti di quella specie si sono messi con le braccia conserte in attesa, come i parigini in quel 19 ottobre 1783, quando videro innalzarsi al cielo un cesto di vimini appeso ad un pallone, con un unico pensiero, quello di godere lo spettacolo della sicura caduta…  Hanno fatto i conti senza l’oste, perché si sono dimenticati dell’anima della Juventus, del suo DNA, della juventinità che è immortale, inscalfibile. La cosa peggiore che può capitare a una squadra è perdere il carattere, ma la corazza bianconera è impenetrabile a difesa della sua storia. Quando parlo di carattere non mi riferisco allo spirito vincente o perdente, perché in fondo tutte hanno il primo, più o meno sviluppato. Si tratta del carattere da cui si proietta quello spirito, dello stile e dell'animo con cui si aspira a vincere.  

La juventinità, l’anima bianconera dal carattere invincibile, agguerrito, deciso e risoluto come un eroe omerico; spaccone e temerario ricordando i protagonisti della Chicago degli anni venti; caparbio e tormentato come quello di Ivan Karamazov; nobile, elegante e aristocratico d’un piacere dannunziano; altezzoso e sprezzante come l’indole dipinta sui suoi personaggi da Jane Austen; ottimista e fiducioso come la natura di Leopardi che non tutti hanno compreso; vorace e spietato ma sempre rispettoso e leale nei confronti dell’avversario; a volte cavallerescamente donchisciottesco; eroico e fiero, vincente e libero come tutti i più grandi geni dell’arte.

Mi piace poter associare la mongolfiera a Charles Baudelaire, che scrisse questi versi ne Il viaggio, contenuto nei Fiori del male (1857):

                                                                          Ma i veri viaggiatori partono per partire;

                                                                          cuori leggeri, s’allontanano come palloni,

                                                                          al loro destino mai cercano di sfuggire,

                                                                          e, senza sapere perchè, sempre dicono: Andiamo!

                                                                          I loro desideri hanno la forma delle nuvole,

                                                                          e, come un coscritto sogna il cannone,

                                                                          sognano voluttà vaste, ignote, mutevoli

                                                                          di cui lo spirito umano non conosce il nome!

Quei tanti, poveri loro, saranno costretti a restare per molto tempo ancora in attesa a braccia conserte e naso all'aria… Può cadere una mongolfiera spinta dall’elio o dall’idrogeno, ma non quella lanciata per conquistare sogni di gloria verso l’infinito, tra quelle nuvole che hanno forma di desideri, animata dalla fantasia, dalle emozioni, dalla storia, dalla libertà: dall’immortale juventinità.