Platini: ''Ho reso orgoglioso l'avvocato e questo mi rende felice''

Il grande Michel Platini ha rilasciato un intervista al Corriere della Sera in cui ha raccontato a cuore aperto alcuni episodi durante la sua carriera bianconera. Il primo a menzionare è l'avvocato Agnelli, il quale non ebbe alcun dubbio quando vide il francese giocare per la prima volta: Platini doveva essere assolutamente un giocatore della Juventus.
"Non era certo un amico, non era una persona con cui mi prendevo a pacche sulle spalle, aveva tanti anni più di me e la sua indiscutibile autorevolezza. Io direi così: ho reso orgoglioso l’Avvocato. È lui che mi ha voluto. Credo pensasse, tra sé, che era stato lui, non Boniperti o altri, a scegliermi e ciò che avevo fatto era la conferma che lui capiva di calcio e quindi nessuno poteva rompergli le scatole sul tema. Lui mi ha consentito di avere la massima libertà, in campo e fuori. Sì, credo di averlo reso orgoglioso. E questo fa felice me".
La Vecchia Signora, nel 1985 vinse la sua prima Champions League battendo il Liverpool e fu proprio Michel a siglare il fatidico gol. La finale venne giocata per motivi di ordine pubblico, nonostante vi fu la cosiddetta ''strage di Heysel'' in cui morirono 39 tifosi bianconeri che attendevano l'inizio della gara sugli spalti.
"Brutto, bruttissimo. Un bruttissimo ricordo. I momenti successivi alla partita sono stati tremendi. Sono andato con Gaetano Scirea due giorni dopo a visitare i feriti all’ospedale di Bruxelles. È stata una cosa bruttissima. Quando pensi che delle persone erano venute fin lì per vederti e non sono più tornate a casa, dalla propria famiglia... Io non mi sono quasi mai espresso su quel giorno, non mi piace parlare del dolore altrui, ma è stato davvero terribile. Mia madre, che era molto cattolica, mi ha sempre parlato della fatalità come di un arbitro dell’esistenza di ciascuno. E per me è stato così, sempre. La morte fa parte della vita, lo so. E so che bisogna sempre rialzarsi e ripartire. Queste sono le cose che mi hanno insegnato, che ho nella mia testa dura di piemontese della Lorraine. Ho fatto così, anche in quei giorni orribili che porto sempre con me".
Indimenticabile l'iconico gesto di ''Le Roi'' a Tokyo, durante la finale di Coppa Intercontinentale. Platini, a seguito dell'inspiegabile decisione dell'arbitro, decide di coricarsi a terra sul fianco sorreggendosi la testa con la mano sinistra.
"Tokyo era il punto di arrivo di una generazione di giocatori che avevano vissuto insieme anni bellissimi. Avevamo vinto tutto e ci mancava solo di conquistare la Coppa del mondo per club. Quel giorno c’era a Tokyo anche il figlio dell’Avvocato, Edoardo. Era una partita decisiva. Arriva un arbitro che mi annulla quel gol. Quel gol: palla fatta passare sulla testa del difensore e tiro al volo nell’angolo. L’avrei ammazzato. Quel gesto era un atto di disperazione. Che faccio: gli vado addosso, gli rifilo due sberle, lo ammazzo, lo strangolo? Mi faccio espellere e lascio la squadra in dieci? Ma come, mi annulli un gol così, nella finale della Coppa del mondo? Sono quei gol che già se ti vengono in allenamento... Ma in una finale... Come quello di Van Basten nella partita decisiva dell’Europeo 1988. Sono reti che girano il mondo, che restano nella storia. Quel giorno faccio un gol così bello e tu me lo annulli per un fuorigioco passivo segnalato da un guardialinee di Singapore? Era da ammazzarlo. Mi sono sdraiato a terra, mi sono appoggiato su un gomito, l’ho guardato. Era un gesto di protesta non violenta. Non era per la televisione, era pura disperazione"
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