Sei giovane? E ti tirano le pietre!

Sei giovane? E ti tirano le pietre!TUTTOmercatoWEB.com
domenica 8 maggio 2022, 00:01Editoriale
di Roberto De Frede
Per riflettere sulla situazione degli “under” bianconeri… un titolo dalle reminiscenze canore…

Il lodatissimo Miretti, il nominatissimo Fagioli, l’attesissimo Gatti e il misteriosissimo Rovella. Tanto per citare i giovani del momento più gettonati, che molti – a quanto si ode e si legge - avrebbero già voluto in campo o desidererebbero vederli nell’undici titolare della Juventus.

Nella rocambolesca sconfitta meritata (se non segni meriti di perdere!) contro il Genoa, partita inutile per i posti champions e interlocutoria per la finale di Coppa Italia, Miretti, unico under in campo, ha ricevuto dalla critica grandi elogi. Non ci vuole purtroppo molto a brillare se hai accanto Arthur, che farebbe diventar diamante anche un granello di sale, e se mancano Locatelli e McKennie. Avrebbe mai giocato Miretti con la rosa al completo? E se fosse rimasto nella sua under o in tribuna, il motivo sarebbe stato il non essere all’altezza di dialogare con i “grandi” o solo per il “reato” di appartenere alla gioventù? Che poi, detto tra di noi, avere problemi di gioventù in una squadra che si chiama Juventus fa alquanto sorridere…

C’è un “colpevole” per tutto questo?  

Non sono qui a condannare chi è a favore dei giovani in campo nelle partite che contano o chi vuole solo una squadra di titolati maturotti, chi fa giocare gli under aspettando i secondi di recupero o chi li fa svernare in una squadra di media classifica per poi dimenticarseli al parcheggio. Ma allora quale è il quesito alla base del problema? Conta più il gioco del calcio o il mondo del calcio? Questo è il fulcro della riflessione. Da questo ne discende un corollario non meno importante: chi prevale sull’altro, il gioco o il suo mondo?

C’è davvero un’età per ricevere la patente per giocare negli undici iniziali, prima della quale non è possibile accedere a quello status tanto agognato? Pelè a 17 anni divenne campione del mondo con il Brasile segnando una doppietta in finale contro la Svezia nel 1958: c’è dunque da assegnare la vittoria a tavolino agli svedesi per quell’ “illecito” commesso, di far scendere in campo uno sbarbatello, o dobbiamo inchinarci tutti dinanzi alla meraviglia del gioco del calcio e ai suoi interpreti? Inchiniamoci, ma quel calcio non c’è più, quel pensiero romantico di gioco è all’ombra del suo mondo predominante.

L’esempio è chiaramente provocatorio. Essere giovani non significa essere dei “pelè”, ma il punto è un altro.    

Tutti sono contro Allegri quando per inserire un under impiega mezza stagione, sempre che poi lo faccia debuttare. Se fosse colpa solo del mister livornese sarebbe troppo facile la soluzione del problema: via Allegri, dentro tutta la gioventù a disposizione! Non è così, perché è una situazione che si fotografa in tutte le squadre nel nostro campionato. In Italia i giovani vengono immediatamente bollati come non pronti, una sorta di pregiudizio dopo poche presenze. Teoricamente si potrebbe cambiare, ma si tratta di un processo lungo e difficoltoso. L’Italia è il paese che non ama i progetti a lungo termine, ma predilige risultati immediati. Per trasformare la situazione bisognerebbe promuovere una rivoluzione totale che tocchi tutti gli ambiti possibili, a cominciare dalle scuole calcio, sino alla selezione del talento in erba. Per fare questo sarebbe necessario trasformare la visione del mercato: non più solo giocatori pronti e già affermati con tanto di superprocuratore alle spalle, ma mettere alla ribalta i giovanissimi, visionati da esperti scouting, dalle intuizioni geniali, come fanno alcune squadre vincenti in Europa.

Purtroppo non si vuole cambiare il mondo del calcio, che domina il gioco del calcio. A tanti non conviene. Chissà, forse i marionettisti di oggi non hanno mai assaporato l’emozione di quel calcio giocato, per intenderci, quello di Pelè, e dei Piola, Rivera, Del Piero, Maldini, Pirlo, Marchisio, e mi fermo qui per non fare un listone infinito. Oggi, quotare in borsa è più importante di un debutto con gol di uno sconosciuto diciasettenne, e per gli azionisti conta molto di più il trasferimento di un supercampione corredato da un contratto con clausole pubblicitarie lunghe quanto una enciclopedia, che non quello di Rovella che ritorna alla Continassa. I giovani purtroppo, da che erano un tesoretto da investire, sia per il gioco in quanto tale che per il suo mondo economico, sembrano oggi “parva materia”. E di esempi se ne potrebbero sciorinare a centinaia.

Il pianeta finanziario impone – a meno di rarissime eccezioni - che in campo vi sia la “figurina” del calciatore dal nome altisonante, già affermato e con uno stipendio milionario, piuttosto che di un Fagioli o di un Miretti, che seppur bravi per giocare a calcio, non ancora “maturi” per far parte del mondo del calcio.

Non siamo ipocriti, un po’ anche i tifosi non sono più quelli d’un tempo e vogliono tutto e subito, contribuendo a questa intrecciata situazione. Si lamentano quando l’allenatore tiene la giovane promessa ferma in panchina, nonostante la squadra in campo zoppichi, tanto da perdere poi la partita. Si lamentano quando il giovane gioca a discapito del calciatore maturo, e la squadra perde lo stesso. Stiamo sempre lì: abbiamo sempre bisogno di un capro espiatorio, meglio se un po’ deboluccio per non rischiare una forte controffensiva.

Va tutto bene fin quando si vince, e così non si cresce.  

Mi raccomando siamo sinceri. Saremmo più contenti se la Juventus, nel prossimo mercato acquistasse Raspadori o Lewandowski? Milinkovic Savic dalla Lazio o riprendersi Fagioli dalla Cremonese e farlo giocare da titolare, insieme a Miretti già in bianconero? Bremer dal Torino o Gatti? Frenkie de Jong dal Barcellona o Rovella? Dite la verità, senza giri di parole, perché tanto chi la vuole nascondere, non ha che da esprimerla apertamente e non verrà creduto da nessuno. E comunque… ditela lo stesso!