Il ritorno dei capitani coraggiosi

Il ritorno dei capitani coraggiosiTUTTOmercatoWEB.com
© foto di Gianfranco Irlanda
domenica 13 novembre 2022, 18:28Editoriale
di Roberto De Frede
“Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno.” (Martin Luther King)

Un campionato anomalo fino a qualche giornata fa, con un numero di squadre dispari, diciannove, in attesa della ventesima, di quella senza la quale qualsiasi torneo rimane orfano della leggenda. La Juventus, assentatasi misteriosamente per un paio di mesetti dai campi di calcio italiani ed europei, è ritornata. Nella città italiana luogo di tanta poesia shakespeariana, la Verona fatale per molti ma non per i bianconeri, tanti punti interrogativi negativi si sono ritrasformati in esclamativi positivi, ed anche il “corto muso” è di nuovo dolce e vincente. Nel suo enigmatico bimestrale viaggio sulla luna la Juventus ha ritrovato il senno perduto, ma anche il coraggio di affrontare a viso aperto le sfide e le situazioni più ostiche, quelle da coltello fra i denti, la cattiveria e il cinismo agonistici, la consapevolezza di poter essere protagonista fino alla fine, e soprattutto l’orgoglio del collettivo, tutti medicinali taumaturgici, quasi quanto il gesto del buon paladino Astolfo lo fu per il conte Orlando! La squadra allegriana sembrava rassegnata, arresasi senza l’onore delle armi ad una dolorosa e rabbiosa mediocrità, al Bentegodi ad esempio avrebbe portato a casa un miserrimo e inutile pareggio, se non addirittura una umiliante sconfitta. Ora pare uscita da quella zona grigia, ombrosa, scarsamente ossigenata, pauroso confine tra l’immobilità e il disequilibrio, in cui tutto diventa malsana abitudine statica e rassegnazione passiva. La Juventus ha di nuovo contezza di essere la Juventus, ha ritrovato il coraggio di tornare ad essere se stessa, grazie allo spirito battagliero e allo stesso tempo cavalleresco di tutti i suoi moschettieri: un “tutti per uno uno per tutti”, che si materializza in quell’abbraccio a mo’ di mischia rugbystica, diventato rito vincente prima del fischio d’inizio.

Il campionato è ancora troppo lungo per ufficializzare la fuga di un Napoli col piede a tavoletta, in più la sosta ormai prossima del mondiale lascia proprio l’amaro in bocca agli azzurri partenopei, che potevano allungare ancor di più il passo visto il momento d’oro, costretti invece ai box con eventuali ruggini future, concedendo tempo preziosissimo di recupero fisico e mentale a chi nella prima parte ha zoppicato non poco, per numero di infortuni da record e mancanza di una solida preparazione atletica e tecnica per i viaggi estivi. La Juventus nonostante tutto, facendo il men che minimo, è comunque lì, dopo il Napoli, al pari e sopra squadre che hanno invece fatto già il loro massimo. Da gennaio partirà il torneo di “clausura” e sarà un campionato di certo a venti squadre e non più a diciannove.

Il titolo dell’editoriale riporta non solo alla memoria il romanzo del 1897 di Rudyard Kipling, ma l’altalenante danza degli ultimi tempi della fascia da capitano, che salta da un braccio all’altro, ora di Bonucci, ora di Cuadrado e poi di Alex Sandro e infine di Danilo.

Ma dove nasce questa figura leggendaria? Un rappresentante della squadra sboccia praticamente col calcio, al punto che a questa figura di riferimento toccava, all’epoca del pionieristico football giocato nelle public schools inglesi, fissare le regole con l’avversario prima del match, relativamente a durata, numero dei giocatori e misure del campo e garantirne il rispetto. Il termine “capitano” invece pare risalga all’epoca della Grande Guerra. Si narra che nell’esercito britannico ci fosse, per dimostrare lo spirito sportivo anche in battaglia, la consuetudine di calciare dei palloni contro le linee nemiche al momento di dare il via all’assalto. L’episodio più celebre, dal quale il termine “capitano” sarebbe stato mutuato nel calcio, riguarda appunto un capitano, tale Wilfred Neville, durante la sanguinosa battaglia della Somme. L’impresa di Neville e dei suoi uomini, di calciare oltre le linee tedesche i palloni, rimase leggendaria, a simboleggiare a un tempo l’eroismo e lo spirito sportivo di quei soldati. Così il giocatore cui veniva delegata la rappresentanza della squadra, da quel momento in poi, prese il nome di “capitano”, mentre solo nel 1949 in Italia fu sancito l’uso della fascia, a mo’ di grado, al braccio sinistro di colore diverso dalla casacca.

Ma oggi quindi a chi spetta questa fascia tra i bianconeri? A noi non importano le fredde regole dove si legge che il capitano è quello che ha più presenze, è il più anziano, è l’unico a poter comunicare con l’arbitro, in caso di decisioni prese da quest’ultimo, facendosi portavoce della propria squadra o di qualche compagno; ed è inoltre colui che, prima della competizione, partecipa al sorteggio per stabilire quale squadra sceglierà il campo e quale batterà invece il calcio di inizio. Troppo poco.

Un capitano, quello che ci mette la faccia nel bene e nel male, rappresenta la propria squadra, i propri colori, i valori della propria società; il suo comportamento deve essere di esempio per tutti, sia in campo che fuori dal campo, fonte di ispirazione per i più giovani, deve dare l’anima, sudare più degli altri e non mollare mai, qualunque sia il risultato, comportandosi sempre in modo corretto e leale, perché ha dentro di sé valori assoluti che lo contraddistinguono da tutti gli altri. Il capitano è il primo della fila ad entrare nell’arena portando stretto tra le sue mani lo stendardo della squadra, ad uscire dalla trincea e gettarsi all’attacco per la gloria e la vittoria, senza macchia e senza paura. Non deve essere per forza il più bravo, né chi sta da più tempo in una squadra. Il capitano è colui che ha il coraggio di prendere decisioni in pochi attimi, di difendere l’unità del gruppo e di non far perdere mai dignità e onore ai colori che rappresenta. Molti calciatori sono capitani non perché sono avvolti da quel pezzo di stoffa, ma perché quella “C” l’hanno tatuata sulla pelle e impressa nel loro carattere. L’uomo-capitano viene onorato da quella fascia, ma ancor di più è lui che dovrà renderla immortale per far sì che dopo di lui ne verrà un altro, e un altro ancora che porterà nell’arena il glorioso e vincente gagliardetto della Juventus.

La Juventus è tornata. Di capitani ce ne sono, anzi mi piacerebbe che tutti in campo fossero un po’ capitani, o che almeno sognassero di esserlo… alzare per primo una coppa e donarla al proprio popolo, onore che spetta solo a lui: il mondo del resto è nelle mani di coloro che hanno il coraggio di sognare e di correre il rischio di vivere i propri sogni.

Tutti capitani coraggiosi, coraggiosi di inseguire un sogno che pian piano comincia a diventare reale, coraggiosi di essere ed esserci da protagonisti, coraggiosi di vivere l’emozione delle sfide a testa alta. Chissà, ho l’impressione che nel viaggio di ritorno dalla luna uno dei capitani, forse Leo, forse Danilo, probabilmente Fagioli…  prima di addormentarsi abbia letto a tutti la Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare del cileno Luis Sepúlveda e a tutti prima di scendere in campo saranno rimasti impressi nella mente questi righi finali: “- Bene, gatto. Ci siamo riusciti - disse sospirando - Sì, sull’orlo del baratro ha capito la cosa più importante - miagolò Zorba - Ah sì? E cosa ha capito? - chiese l’umano - CHE VOLA SOLO CHI OSA FARLO - miagolò Zorba.”