La Juve acquista una leggenda… già campione d’Europa e poi del Mondo

La Juve acquista una leggenda… già campione d’Europa e poi del MondoTUTTOmercatoWEB.com
domenica 9 giugno 2024, 23:59Editoriale
di Roberto De Frede
“Viviamo in un mondo di ombre e la fantasia è un bene raro.” Carlos Ruiz Zafón

Cari Lettori, siamo ormai entrati in quell’arco di tempo, in quel limbo che va dalla fine di un campionato al suo nuovo inizio e che una buona fetta di esso prende il nome di “calciomercato”. La bellezza del calciomercato è quella di far sognare i propri tifosi con fantasie spesso irraggiungibili, ma del resto niente accade se non è preceduto da un sogno. E allora fantastichiamo sull’acquisto di un portiere, guardando al passato per ritornare al futuro, sperando che l’estate 2024 sia come quella del 1972, quando arrivò…

Tra un “forse” di Szczęsny, un “chissà” di Perin e un “quasi quasi” di Di Gregorio, narrare le gesta di una “certezza” può aiutare…

DINO ZOFF

Il portiere per antonomasia. L’aquila solitaria, l’uomo del mistero, l’estremo difensore. Ruolo poetico e letterario, come scriveva Umberto Saba nella sua lirica Goal, composta negli anni Trenta, quelli del glorioso Quinquennio bianconero, ma che ritrae, con mezzo secolo d’anticipo, il nostro eroe.

Il portiere caduto alla difesa

ultima vana, contro terra cela

la faccia, a non veder l’amara luce.

Il compagno in ginocchio che l’induce

con parole e con mano, a rilevarsi,

scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

La folla – unita ebrezza – par trabocchi

nel campo. Intorno al vincitore stanno,

al suo collo si gettano i fratelli.

Pochi momenti come questo belli,

a quanti l’odio consuma e l’amore,

è dato, sotto il cielo, di vedere.

Presso la rete inviolata il portiere

 – l’altro – è rimasto. Ma non la sua anima,

con la persona vi è rimasta sola.

La sua gioia si fa una capriola,

si fa baci che manda di lontano.

Della festa – egli dice – anch’io son parte.

È la personificazione di chi partecipa a un avvenimento lieto da lontano, gioisce al gol, ma con moderazione, perché suo dovere è difendere la propria porta, e più di tutti, comprende il dramma del suo collega avversario. Il poeta fa intendere che la gioia, come ogni sentimento umano, si manifesta anzitutto nell’anima.

Zoff, la sentinella impenetrabile, sempre montante di guardia, della sua cittadella: un rettangolo di sette metri, composto da due pali e una traversa. Impassibile nella sua pacata e baritonale voce, di poche parole affilate, centellinate e spese bene; unico per lealtà e sobrietà dello stile, non privo di un incanto aleggiante di mistero, nella sua essenziale divisa, nera o grigia, a maniche lunghe. Il numero uno, impresso sulle sue spalle, ha raccontato magistralmente la sua anima: solitaria, taciturna, semplice ma unica: lontano dal concetto di uomo volante, mai percorso da quella vena di follia che per tradizione portava i portieri alla bravata, al gesto spettacolare. In un mondo di adorabili stravaganti, Zoff porta la sua saggezza antica. Niente fuochi d’artificio, tanta concretezza. Dino sentiva naturalmente la porta, la vedeva, ovunque si trovasse, e riusciva a capire un attimo prima, cosa stesse per accadere. Per questo non c’era bisogno del tuffo plateale, che spesso copre semplicemente un errore di piazzamento, a lui non familiare.

In piena Seconda Guerra Mondiale, mentre veniva approvato in Italia il nuovo codice civile e dall’altro lato della terra si assegnava a Glenn Miller il primo disco d’oro della storia, il nostro nasce il 28 febbraio del 1942 a Mariano del Friuli, un paesino in provincia di Gorizia, noto per un’antica forma di artigianato, quella delle seggiole. Cresce sportivamente nella squadra del suo paese, prima di approdare all’Udinese, che lo fa debuttare in serie A, contro la Fiorentina. Siamo nel 1961, e dopo un anno trascorso in B, sempre con i friulani, si trasferisce nella squadra della città che diede i natali al poeta Virgilio. Vi resta per quattro stagioni, terminando l’esperienza con i mantovani nel ’67, con la vittoria sull’Inter di Herrera per uno a zero, all’ultima di campionato, consegnando di fatto lo scudetto proprio alla Juventus. A fine stagione passa al Napoli che lo soffia al Milan: con i partenopei gioca 141 partite consecutive, fermandosi solo a metà marzo del ’72, quando durante un allenamento, mette il piede in una buca, fratturandosi il perone, unico infortunio della sua carriera.

La Juventus in quell’estate, riesce a strappare i “vecchietti” Zoff e Altafini proprio agli azzurri e, mentre Eddy Merckx vinceva Giro e Tour, e nelle acque di Riace due statue in bronzo del V secolo a.C. tornavano a risplendere al sole, il friulano taciturno arriva sotto la Mole Antonelliana. Vi resterà per undici stagioni, collezionando 330 presenze consecutive in campionato (479 in totale), vincendo sei scudetti, due Coppe Italia e la Coppa Uefa del 1977, primo trofeo internazionale della Vecchia Signora. Con i bianconeri stabilisce il record di minuti di imbattibilità, ben 903, nel corso della stagione ’72-73, superato soltanto ventuno anni dopo dal milanista Rossi, a sua volta oltrepassato da Buffon, forse l’erede naturale, per vittorie e consensi, di SuperDino.

Per tre lustri, diventa inamovibile e insostituibile tra i pali della Nazionale e tutti i suoi colleghi non possono che accomodarsi in panchina, in attesa che il re abdichi. Difende la porta azzurra 112 volte, di cui 59 da prode capitano, mantenendola inviolata per 1.134 minuti, primato assoluto. È lui, con Enzo Bearzot, altro friulano di poche ma sagge parole, a tenere compatto lo spogliatoio, nei giorni delle roventi critiche giornalistiche alla spedizione italiana durante il Mundial ’82. Quattro mondiali vissuti intensamente, l’ultimo a quarant’anni, quello del trionfo in Spagna, il più glorioso. È campione agli Europei del ’68, unico calciatore italiano a fregiarsi del doppio titolo, continentale e planetario.

L’immagine del trionfo mondiale degli azzurri si racchiude nelle mani di Zoff che, al novantesimo minuto dell’incontro epico col Brasile, inchioda sulla linea di porta il pallone colpito di testa dallo stopper verdeoro Oscar. Salva il vantaggio e trascina la squadra in finale, dando fiducia a tutti i suoi compagni, perché lui c’era sempre.

La voce soave e calda di Nando Martellini, lo storico telecronista delle favole azzure, concludeva sempre con la stessa, tranquillizzante frase: «Parata di Zoff». La sua faccia tranquilla e fiera è finita sulle copertine del Time e di Newsweek, le sue mani che alzano la Coppa del Mondo su di un francobollo commemorativo disegnato dal grande pittore neorealista Renato Guttuso. Nonostante il suo essere sin da ragazzo uomo maturo e schivo, dal carattere in apparenza aspro, alla domanda di cosa gli rimaneva dopo aver vinto un mondiale, ha risposto: «La gioia pura, quella dei bambini».

Conquista la stima e l’amicizia del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, il quale al pranzo al Quirinale in onore dei campioni del mondo, vuole alla sua sinistra il suo amico di pipa, il Vecio, Enzo Bearzot e alla sua destra lui, Zoff, il capitano. Nel giorno della Festa della Repubblica del 1983, annunciando il proprio ritiro, a chi lo avrebbe voluto vedere ancora tra i pali, commosso esclama: «Non posso parare anche l’età». Allena la sua Juve alla fine degli anni Ottanta, vincendo una Coppa Italia e una Coppa Uefa; è C.T. della brillante Nazionale agli Europei del 2000, sfortunatamente sconfitta in finale dalla Francia per un golden gol di Trezeguet. Zoff apparterrà per sempre a quell’immortale schiera di artisti del football, gli stessi cui spesso ha negato la gioia del gol, perché proprio quello era il suo mestiere. Un eroe dipinto di bianconero, che ha scritto la leggenda del calcio mondiale.

Roberto De Frede

Dal libro “Ritratti in bianconero” di Roberto De Frede

P.S. chissà quale sarà domenica il prossimo acquisto…