Se un anno di m.... è quando si vince uno scudetto

Se un anno di m.... è quando si vince uno scudettoTUTTOmercatoWEB.com
venerdì 26 novembre 2021, 07:45Editoriale
di Antonio Paolino
"Opinionista" per un giorno propone i Pensieri bianconeri di Vincenzo Greco sui significati inconsapevoli della frase di Andrea Agnelli

Se Andrea Agnelli nella famosa e molto spoilerata serie Amazon ha definito un anno di m… quello in cui si è vinto uno scudetto, come potremmo definire l’anno successivo e, ancora di più, questo in cui già a novembre abbiamo capito che non vinceremo trofei importanti? Capisco la rabbia verso chi ha condotto quell’anno, entrato in casa Juve con l’odio addosso e uscitone con l’aggravante dell’amarezza e dell’umiliazione dati dall’esonero, capisco la delusione anche verso certi giocatori che non hanno reso al massimo, ma è stato pur sempre un anno in cui si è vinto un campionato. 
Averlo definito in quel modo forte, anche se con riferimento non tanto alle vittorie ottenute o mancate ma ai comportamenti e al clima che si è creato, è molto significativo.

In quel momento il presidente juventino non immaginava di certo che quello sarebbe stato l’ultimo scudetto prima del digiuno, forse lungo digiuno, che pare prospettarsi.In quella frase, tuttavia, c’è tutta una spiegazione di quello che è avvenuto dopo e che ora sta dispiegando in pieno i suoi effetti dannosi. Si pensava che lo scudetto fosse il minimo ottenibile, anzi meno del minimo. Una vittoria ritenuta scontata. E infatti vincere “solo” il campionato, anni di m… o meno, non è bastato, né ad Allegri né a Sarri, ad evitare gli esoneri. 

Del resto, vincere nove campionati di fila può ingenerare l’idea che in Italia si vince facilmente e che, per crescere, occorre puntare più in alto. Cioè, in Europa. Agnelli ha cercato di scuotere la squadra alzando l’asticella e indicando l’Europa come nuovo traguardo da ottenere, dopo ben nove scudetti consecutivi. Le intenzioni erano ottime, ma le conseguenze di questa visione sono state paradossalmente contrarie alle intenzioni stesse. 

Perché, da una parte, ha creato, sia pure solo inconsciamente, demotivazione in partite interne che invece prima venivano aggredite. Ed ecco il perché di partite così male approcciate e giocate come quelle, lo scorso anno, contro Benevento e Crotone – giusto due esempi tra tanti - e, quest’anno, Empoli, Verona, Sassuolo. 

In Europa, invece, dove dovevamo fare il salto, non siamo granché migliorati. Anzi, a ben vedere, siamo arretrati fino al crollo contro il Chelsea. Per motivi tecnici, tattici, di organizzazione di gioco, di vera e propria impotenza. Insomma, un eccesso di presunzione e forse anche di superficialità. 
Come lo è stato anche solo pensare che giocatori come Rabiot, Ramsey, Morata potevano realmente farci fare quel salto che neppure Ronaldo è riuscito a farci compiere. 

Esauriti i riferimenti scatologici, dovremo aspettare la prossima serie televisiva per capire come questi anni verranno definiti? 
O forse sarà meglio, aggiungendo una vocale, passare dalla scatologia all’escatologia e ribadire che il destino ultimo della Juve è vincere, tramite abnegazione, sacrificio, lavoro. E a quello si deve tornare. A partire dai campi italiani, anche quelli meno prestigiosi. 

Vincenzo Greco - Pensieri bianconeri