Uno “strano fantasista" approda da Madama

Archiviata definitivamente la partecipazione da comparsa della Juventus al campionato del mondo per club, ci si ributta nella Vucciria, ovvero nel calciomercato, per accaparrarsi un po’ di roba buona, almeno una volta era così, si evitavano “cineserie”. Anticamente era chiamato "la Bucciria grande" il mercato di Palermo, per distinguerlo dai mercati minori. Attenzione attenzione, "Vuccirìa" in palermitano significa "Confusione"…
David, il canadese, è arrivato. Il sottoscritto qualche editoriale fa ne auspicava la sua venuta, a dir la verità anche per mancanza di serie alternative.
Era il 1979. L'UNESCO proclama il Campo di concentramento di Auschwitz patrimonio dell'umanità. Nel Regno Unito la vittoria elettorale va ai conservatori di Margaret Thatcher, prima donna ad occupare la carica di primo ministro. Viene messo in vendita in Giappone dalla Sony il primo lettore stereo portatile, il Walkman, con il quale molti calciatori si accompagnavano nelle lunghe trasferte, ascoltando Umberto Tozzi e la sua (e non solo sua) Gloria, sognando con I Have a Dream degli ABBA. Ci si appassiona pagina dopo pagina al romanzo giallo A che punto è la notte di Fruttero & Lucentini e si va al cinema con l’imbarazzo della scelta: "Apocalypse Now" di Francis Ford Coppola, "Alien" di Ridley Scott, "Manhattan" di Woody Allen, "Fuga da Alcatraz" di Don Siegel, "Zombi" (Dawn of the Dead) di George A. Romero e "Stalker" di Andrej Tarkovskij. A Città del Messico, Pietro Mennea stabilisce il record del mondo nei 200 metri piani con il tempo di 19"72 e intanto un grande talento espresso a metà è al servizio dei bianconeri.
Uno “strano” fantasista di nome
DOMENICO MAROCCHINO
Quando decideva lui, calciatore imprendibile, capace di svariare su tutto il fronte d’attacco, facendo ammattire i difensori avversari, ma anche i propri allenatori e presidenti. Alto e ciondolante, con quell’aria apparentemente distaccata alla Sherlock Holmes, dietro l’aspetto di chi si trova lì per caso, nasconde, invece, una profonda intelligenza. Il suo essere un po’ dandy e mattacchione, ha regalato al football meno di quanto le sue grandi capacità avrebbero potuto. Si è divertito tanto, prendendo il calcio come un bel gioco e non come un lavoro vero e proprio. Ha speso l’intera carriera forse nel cercare di dimostrare che non era un grande giocatore, impresa ardua non riuscitagli, grazie alla sua fine saggezza e al suo tocco di palla vellutato.
Il suo era il faticoso ruolo dell’ala destra, per giunta tornante: poco incline a seguire il terzino di competenza, tendeva a volte ad estraniarsi dal gioco, ad appartarsi lungo le fasce laterali, nelle zone ombrose e più fresche del campo, quasi a divenire un protagonista crepuscolare dei racconti di Gozzano. Nell’arco dei novanta minuti, un momento ti mandava in delirio e un attimo dopo ti veniva voglia di strozzarlo.
Un discepolo del “calcio deduttivo”, osservava con grande attenzione ogni particolare della partita, poi con calma, quando aveva raccolto tutti gli elementi che gli servivano, entrava in azione: palla al piede, impossibile sradicargliela, partiva e andava infallibilmente in attacco, lasciando di stucco avversari e compagni, terminando l’azione con assist vincenti o centrando lui stesso la porta. Imprevedibile birbone.
Sempre elegantissimo, nella sua visione calcistica i concetti di allenamento e fatica non erano contemplati come una costante, e venivano spesso e volentieri sostituiti dalla leggera e attraente flânerie: ad una preparazione tecnico-tattica sotto la pioggia, preferiva un bicerin da sorbire in dolce compagnia, nei salotti dell’omonimo caffè di Torino, con in tasca un pacchetto di sigarette americane pronte per l’accensione. Personaggio istrionico dai mille interessi, uno in particolare. Tombeur de femmes, tanto è che quando gli chiedevano se avesse avuto più donne o segnato più gol, rispondeva che se avesse fatto tanti gol per quante donne avute, avrebbe raggiunto Pelè nella classifica dei marcatori. Amabilmente esagerato, fuori dagli schemi, un perfetto erede della beat generation.
Nasce a Vercelli il 5 maggio del 1957, cresce nel vivaio della Juventus, veste le maglie di Juniorcasale e Cremonese, prima di esordire in Serie A con la maglia dell’Atalanta, il 17 dicembre ’78, nella gara contro la Fiorentina terminata con un pareggio a reti inviolate. Dovunque attestazioni di merito e elogi del pubblico, per questo esterno spilungone, eccentrico e talentuoso, all’occorrenza impiegato anche come seconda punta.
Nel ’79 Marocco, il suo soprannome, viene richiamato alla Juventus: l’intendimento dei dirigenti sarebbe quello di farlo diventare il vice di Causio. Debutta con i bianconeri in una gara valevole per i sedicesimi di finale di Coppa delle Coppe, il 19 settembre ’79, vinta per due a zero contro gli ungheresi del Raba Eto Gyor.
Ad ogni modo, tra una bionda e una bruna, una Camel e una Chesterfield, un Bramaterra e un Gattinara, ma rispettando sempre la zebrata casacca con onore e passione, Marocchino mette nel suo palmarès gli scudetti ’81 e ’82, e la Coppa Italia ’83, spalmati nell’arco di un quadriennio, con 137 presenze e dodici reti. Un gol decisivo, per la corsa al diciannovesimo tricolore, lo segna alla settima di ritorno del campionato ’80-81, al Comunale di Torino contro il Perugia: il 2 a 1 finale, all’ottantanovesimo minuto, in una mischia furibonda. Nella prima partita ufficiale in bianconero di Michel Platini, segna proprio Marocco il gol del pareggio contro gli etnei e il francese gli fa i complimenti. Nell’83 lascia la Juventus per vestire le maglie di Sampdoria, Bologna, Casale, chiudendo la sua carriera nell’88 con la Valenzana.
Meteora luminosa in Nazionale, si fregia di una sola presenza, quella valida per le qualificazioni ai campionati del mondo in Spagna. Allo stadio San Paolo di Napoli, il 5 dicembre 1981, l’Italia gioca contro il Lussemburgo, e vince per uno a zero: calcio d’angolo perfetto di Marocchino e incornata vincente di Collovati.
Simpaticamente indisciplinato, Marocchino ha collezionato un bel po’ di multe societarie, come quella volta che fa tardi alla partenza per Verona del pullman della squadra e Trapattoni esasperato non può fare altro che andarlo a prelevare direttamente a casa col torpedone. Non lo trovano. Forse aveva dato un indirizzo sbagliato, e così partono alla volta del Bentegodi. Marocchino, finalmente destatosi dal sonno, gli va dietro di corsa con la sua auto. Raggiunto il bus in autostrada, guarda i compagni che gli indicano, dai finestrini, con le dita, i milioni di multa che la società intende comminargli. Cinque, in quell’occasione, e senza fattura.
Domenico Marocchino, un unicum nello scacchiere bianconero.
Roberto De Frede
Tratto da "Ritratti in bianconero" di Roberto De Frede - https://www.amazon.it/dp/B092PKRN38?ref
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