Vincere conta dovunque, solo alla Juventus lo dicono chiaramente

Vincere conta dovunque, solo alla Juventus lo dicono chiaramente
giovedì 12 gennaio 2023, 14:30Permette Signora
di Raffaele Garinella
La Vecchia Signora viene spesso criticata in modo inopportuno. Allegri prosegue dritto per la sua strada, guarda al Napoli e, nel frattempo, vince.

Alla Juventus conta vincere. Da sempre, per sempre. Parole che appartengono al compianto ed indimenticabile Giampiero Boniperti e che condividiamo. Sono sincere, prive di ipocrisia. Il successo non è mai secondario rispetto al calcio champagne, che talvolta evapora, o al modaiolo Tiki Taka dei mille tocchi e dei pochi tiri. Il successo è l’obiettivo di una squadra di vertice, di chi vuole fare bene nel presente per costruire un ottimo futuro senza dimenticare l’importante passato. Sono in tanti che, guardando la Juventus, preferiscono emulare la permalosa volpe che, non arrivando all’uva, la apostrofa come acerba.

Tutto pur di non riconoscere i meriti di chi vince. In alcune occasioni sono state armate crociate per non riconoscere la superiorità di un gruppo rispetto ad altri. Senza addentrarci nella selva oscura di Calciopoli - non è questa la materia del contendere - proviamo a ripassare la storia, a tornare con la memoria alla finale di Coppa del Mondo del 2006. Ad analizzare con razionalità e senza la sciarpa al collo il tasso tecnico di Italia e Francia. In campo c’erano ben otto calciatori di quella Juventus finita sotto inchiesta. Quando si afferma che quella squadra, in quel biennio, non fosse la più forte, viene piuttosto facile lasciarsi andare ad un sorriso ironico ed al tempo stesso sarcastico. In quei momenti - soprattutto in quelli - è bene rammentare i vari Buffon, Thuram, Cannavaro, Zambrotta, Camoranesi, Vieira, Del Piero e Trezeguet. Tutti in campo, tra i migliori calciatori che il panorama calcistico mondiale potesse offrire in quel momento.

Altri non c’erano, erano ugualmente forti e giocavano nella Juventus. Si pensi a Nedved, Ibrahimovic ed Emerson, assi che non hanno certo bisogno di presentazioni. Aldous Huxley, scrittore e filosofo britannico, diceva che la lezione più importante che la storia ci insegna è vedere molti uomini non apprendere nulla dalla storia stessa. Sarà forse per questo che oggi, così come ieri, un’altra Juventus, quella di Massimiliano Allegri, viene ingiustamente criticata. C’è stato un momento della stagione - all’indomani della clamorosa eliminazione dalla Champions League - in cui le critiche non potevano essere non mosse. Dopo la sconfitta contro il modesto Maccabi Haifa era irriguardoso nei confronti della storia e del blasone della Vecchia Signora fingere che tutto filasse liscio.

Lo stesso Conte Max ha recitato il mea culpa. Tanti volevano la sua testa, l’allenatore - che aveva la squadra dalla sua parte e saldamente in pugno - ha chiesto tempo e pazienza. Ed ha avuto ragione. Ha lavorato sulla componente psicologica della squadra, si é trasformato in un Freud in chiave calcistica, ed ha cominciato a vincere. Non sempre brillando, perché non sempre si può stupire. Ha attraversato - e lo attraversa ancora - un tornado di numerosi infortuni, aspetto che sovente la critica ha sottovalutato. Il tridente offensivo sulla carta titolare - Di Maria - Vlahovic - Chiesa - non lo abbiamo ancora potuto ammirare. Pogba è ancora avvolto nel ricordo del calciatore che giganteggiò nel centrocampo bianconero di qualche anno fa.

Allegri ha fatto di necessità virtù, della concretezza la sua arma migliore. Ed anche in questo caso gli sono piovute addosso valanghe di critiche. Come se il corto muso fosse uno dei sette vizi capitali, un peccato di cui mondarsi dopo adeguata flagellazione. “Vince senza spettacolo, sempre 1-0, il solito culo, il solito golletto. Si ma quanto rischia. Vedrai che prima o poi, cadrà”.

Parole effimere, note stonate di uno spartito disarmonico. Il dato di realtà è un altro: otto successi di fila sono tanti, eppure alla Juventus non si auto celebrano per qualcosa che è parte dell’ordinaria amministrazione. Sono già proiettati al big match di Napoli, consapevoli che solo la prova del nove alimenterà speranze scudetto. Il Napoli di Spalletti è certamente bello da vedere, a tratti riesce ad essere spettacolare, occupa meritatamente la prima posizione in classifica. Per entrare nei libri di storia, per varcare l’uscio del Parnaso degli Immortali, tutto questo potrebbe non essere sufficiente. Sarà necessario vincere, altrimenti il ricordo dello Spallettismo partenopeo verrà sbiadito dal tempo.

Non basta essere belli, bisogna saper ballare. Bisogna vincere. È l’unica cosa che conta, solo che alla Juventus lo dicono con estrema sincerità. Da altre parti si preferisce filosofeggiare.