Il Fatto Quotidiano affonda il colpo: “Exor, un miliardo solo per tenere in vita la Juventus”
Non un’iniezione di fiducia, ma un’infusione di sopravvivenza. Lo scrive oggi Il Fatto Quotidiano, in un articolo firmato da Alec Cordolcini, che definisce la Juventus “il club dei petrodollari nostrano”. Altro che sceicchi o fondi americani: secondo il FQ, anche la famiglia Elkann/Agnelli ha dovuto aprire il portafoglio come i qatarioti del PSG o i miliardari di Stamford Bridge.
Un miliardo e oltre: quanto costa davvero tenere in vita la Juventus?
Dal 2017 a oggi, la holding Exor ha versato 919 milioni di euro per coprire le perdite del club. Con altri 80 milioni in arrivo entro novembre, la soglia simbolica del miliardo verrà superata, scrive il quotidiano, “in meno di dieci anni”. Il Fatto ricostruisce un quadro che definire severo è poco: una Juventus in bilico, tenuta in vita da continui interventi della proprietà dopo una serie di stagioni zavorrate da errori gestionali e operazioni fallimentari — a cominciare dal “caso Ronaldo” e dall’aumento insostenibile degli stipendi della cosiddetta classe media.
“Dalla stagione 2017/18 a oggi – si legge sul quotidiano diretto da Marco Travaglio – la Juventus ha perso quasi un miliardo di euro, con bilanci che hanno registrato rosso su rosso: -227, -239, -124, -199 e infine -58 milioni nell’ultimo esercizio”. Una spirale, secondo il FQ, aggravata da scelte di mercato poco lucide come l’acquisto di Koopmeiners per oltre 50 milioni o la gestione delle cessioni estive, che hanno costretto Exor a nuovi versamenti d’urgenza.
Top club o top club-wannabe?
Nel solo 2024/25, sempre secondo il quotidiano, la cassaforte della famiglia Agnelli è intervenuta due volte: prima a marzo, per coprire i costi dell’esonero di Thiago Motta dopo l’eliminazione dalla Champions; poi a giugno, per compensare le mancate cessioni di Weah e Mbangula (sono poi partiti a luglio).
Nel frattempo, i debiti bancari del club sono saliti da 51 a 84 milioni, e si prepara una nuova emissione obbligazionaria da 150 milioni. Un quadro che porta il FQ a una conclusione impietosa: “La Juventus non è più un modello di gestione, ma un top club-wannabe, che investe più dei veri giganti come Manchester City, Real Madrid o Bayern, senza ottenere risultati sportivi paragonabili.” E qui arriva la nostra riflessione che non può mancare: il denaro, da solo, non basta a costruire un’idea.
Tra numeri e gioco: le nostre riflessioni sul futuro della Juventus
Puoi riempire il serbatoio, ma se non sai più dove andare, resti fermo al semaforo, con il motore acceso e lo sguardo perso nel vuoto. C’era un tempo in cui la Juventus era un codice morale, un modo d’essere, passione, anche per chi la gestiva. Oggi sembra un conglomerato finanziario che gioca a calcio per abitudine, come un vecchio signore elegante che si ostina a mettere la cravatta anche quando non serve più. E allora sì, il miliardo c’è, i conti (forse) torneranno, ma la domanda resta sospesa nell’aria: chi rimetterà in ordine l’anima?
A parere di chi scrive, la Juventus non è un titolo in Borsa, né una somma di numeri in bilancio. È un pezzo d’Italia, un’abitudine, un riflesso condizionato di chi si riconosce in una maglia che, al netto di tutto, continua a pesare come una responsabilità. E non è "morta", seguendo il ragionamento del FQ e di altri osservatori, quando ha perso la Champions, ma quando ha smesso di riconoscersi nella propria idea di sobrietà, rigore, continuità, senso di appartenenza e voglia di vincere. E i bilanci, anche i più perfetti, non bastano a far tornare il profumo di quella domenica che sapeva di fatica e orgoglio. Il miliardo serve a salvare i conti, ma servirà ben altro per salvare la Juve.
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