Juventus, la rifondazione infinita: un altro anno zero all'orizzonte?

C’è un momento, nel cuore di ogni grande club, in cui lo specchio restituisce un riflesso che nessuno vuole vedere. La Juventus è di nuovo lì. Con lo sguardo fisso su un’immagine che fatica a riconoscere. Un volto stanco, spogliato di certezze, con l’abito spiegazzato di chi ha dormito male e troppo poco, tra i rumori molesti di un’altra notte agitata.
Antonio Conte resta a Napoli. E forse non è neppure questa la notizia più dolorosa, quanto il fatto che la Juventus sembrava davvero crederci, senza però aver mai fatto davvero tutto il possibile per riportarlo a casa. Lo volevano? Non lo volevano? Lo temevano? Di certo, oggi è il tecnico di un’altra squadra, mentre a Torino si cerca ancora un nome da apporre sulla porta dello spogliatoio. Tudor, si dice, ma è chiaro che sarebbe un piano B o C. E quando la tua storia è fatta di piani A, l’effetto è quello di un vestito comprato all’ultimo minuto per un matrimonio: non calza, non convince, ma in mancanza d’altro lo si indossa.
Il resto è un’eco sorda di decisioni che rimbombano nel vuoto. John Elkann ha azzerato la struttura che lui stesso aveva costruito un anno e mezzo fa. Fuori Cristiano Giuntoli, fuori lo staff. Una mossa che sa di resa più che di coraggio, perché arriva proprio nel momento in cui il mercato comincia a chiudere i suoi giochi più importanti. Quando serve visione, progettualità, chiamate, colloqui, idee chiare. E invece la Juve è senza guida tecnica e presto sarà senza chi dovrebbe costruire la squadra.
È l’ennesimo anno zero, e a furia di ripartire da zero si finisce col credere che lo zero sia il punto d’arrivo. La Juventus sembra inciampare su se stessa, sempre più simile a quell’Inter di qualche stagione fa, che cambiava panchine e dirigenti come un bambino cambia idea su cosa fare da grande. Il problema, però, è che la Juve non è un bambino. È un colosso con la memoria corta e la pazienza finita. Una società che ha smarrito — non da oggi — la sua identità, la sua postura, quella che ti faceva capire chi comandava anche solo da come entrava in campo. Oggi comanda il dubbio. Comanda la paura di sbagliare ancora, e nella paura, si sa, non si costruisce niente.
Non basterà un altro slogan, un altro “anno della svolta”. Non basteranno conferenze stampa o fotografie con il nuovo allenatore. Serve tornare a essere Juventus. O finirà per diventare solo un nome scritto su una maglia gloriosa, mentre la sostanza si dissolve, stagione dopo stagione, rivoluzione dopo rivoluzione. Perché il rischio più grande non è perdere. È smettere di sapere chi si è.
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