Juventus, la rifondazione infinita: un altro anno zero all'orizzonte?

Juventus, la rifondazione infinita: un altro anno zero all'orizzonte?TUTTOmercatoWEB.com
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Ieri alle 08:31Primo piano
di Massimo Reina
La Juventus si ritrova di nuovo a guardarsi allo specchio e a non riconoscersi: un volto stanco, privo di certezze, riflesso di un’identità smarrita.

C’è un momento, nel cuore di ogni grande club, in cui lo specchio restituisce un riflesso che nessuno vuole vedere. La Juventus è di nuovo lì. Con lo sguardo fisso su un’immagine che fatica a riconoscere. Un volto stanco, spogliato di certezze, con l’abito spiegazzato di chi ha dormito male e troppo poco, tra i rumori molesti di un’altra notte agitata.

Antonio Conte resta a Napoli. E forse non è neppure questa la notizia più dolorosa, quanto il fatto che la Juventus sembrava davvero crederci, senza però aver mai fatto davvero tutto il possibile per riportarlo a casa. Lo volevano? Non lo volevano? Lo temevano? Di certo, oggi è il tecnico di un’altra squadra, mentre a Torino si cerca ancora un nome da apporre sulla porta dello spogliatoio. Tudor, si dice, ma è chiaro che sarebbe un piano B o C. E quando la tua storia è fatta di piani A, l’effetto è quello di un vestito comprato all’ultimo minuto per un matrimonio: non calza, non convince, ma in mancanza d’altro lo si indossa.

Il resto è un’eco sorda di decisioni che rimbombano nel vuoto. John Elkann ha azzerato la struttura che lui stesso aveva costruito un anno e mezzo fa. Fuori Cristiano Giuntoli, fuori lo staff. Una mossa che sa di resa più che di coraggio, perché arriva proprio nel momento in cui il mercato comincia a chiudere i suoi giochi più importanti. Quando serve visione, progettualità, chiamate, colloqui, idee chiare. E invece la Juve è senza guida tecnica e presto sarà senza chi dovrebbe costruire la squadra.

È l’ennesimo anno zero, e a furia di ripartire da zero si finisce col credere che lo zero sia il punto d’arrivo. La Juventus sembra inciampare su se stessa, sempre più simile a quell’Inter di qualche stagione fa, che cambiava panchine e dirigenti come un bambino cambia idea su cosa fare da grande. Il problema, però, è che la Juve non è un bambino. È un colosso con la memoria corta e la pazienza finita. Una società che ha smarrito — non da oggi — la sua identità, la sua postura, quella che ti faceva capire chi comandava anche solo da come entrava in campo. Oggi comanda il dubbio. Comanda la paura di sbagliare ancora, e nella paura, si sa, non si costruisce niente.

Non basterà un altro slogan, un altro “anno della svolta”. Non basteranno conferenze stampa o fotografie con il nuovo allenatore. Serve tornare a essere Juventus. O finirà per diventare solo un nome scritto su una maglia gloriosa, mentre la sostanza si dissolve, stagione dopo stagione, rivoluzione dopo rivoluzione. Perché il rischio più grande non è perdere. È smettere di sapere chi si è.