Jacomuzzi: "Il nostro calcio non ci appartiene più, e questo fa male"

Jacomuzzi: "Il nostro calcio non ci appartiene più, e questo fa male"TUTTOmercatoWEB.com
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di Daniele Petroselli

A 1 Station Radio è intervenuto Carlo Jacomuzzi, presidente dell’Aioc ed ex direttore sportivo di Napoli ed Atalanta. E ha parlato dei problemi del calcio italiano: "Coverciano forma ogni anno circa 40 direttori sportivi e una ottantina di osservatori, ma poi vediamo che nei club, a ricoprire quei ruoli, sono quasi tutti stranieri. Non abbiamo più nulla di nostro. La dimostrazione è che siamo qui, con la paura di non andare ai Mondiali per la seconda o terza volta. O si pone un limite, o non si può andare avanti così. Bisogna chiedere garanzie alle società, trovare una linea comune. Anche perché, ormai, molte società sono in mano a proprietà straniere. Il nostro calcio non ci appartiene più, e questo fa male".

E ha aggiunto: "Eppure, nei settori giovanili lavoriamo bene: gli allenatori e i collaboratori sono preparati, e a livello giovanile siamo sempre competitivi, arriviamo fino alle fasi finali. Quindi alla base lavoriamo ancora bene. È nella parte alta del sistema che non funziona più nulla. Guardo le partite e vedo due, tre italiani per squadra. Anche in panchina sono per lo più stranieri. Allora qualcosa non va. Forse la legge del 10% ha creato un alibi per spendere meno, ma non è accettabile. La Federazione deve porre un rimedio: così non si può andare avanti".

Poi ha chiuso dicendo: "L’Europa non può porre limiti alla libera circolazione dei lavoratori, quindi tecnicamente non possiamo impedire ai club di tesserare stranieri. Detto questo, se si volesse davvero intervenire, i modi si troverebbero. Si possono fissare limiti d’età, tetti ai guadagni, criteri di trasferimento: mille soluzioni ci sarebbero, ma serve la volontà politica e federale per farlo. Oggi guardi le partite e fai fatica persino a leggere i nomi dei giocatori: sono tutti stranieri. E non è bello, perché i tifosi non si riconoscono più nelle squadre. Una volta i bambini sognavano di essere Rivera, Boninsegna… ora non hanno più punti di riferimento. Anche le figurine di una volta creavano un legame, un’identità. Oggi non c’è più niente di tutto questo: solo interessi economici. È un disastro per i giovani, che non si identificano più. Eppure, chi lavora nei settori giovanili sta facendo i salti mortali. Ma serve un sistema che li supporti, non che li lasci soli".