Juve, Comolli: “Se i club mi scelgono è perché vogliono la mia cultura”
Damien Comolli non ama i passi felpati. Chi si aspettava un amministratore delegato prudente, pronto a tastare il terreno, si sbagliava di grosso. Sul palco di Hudl Performance Insights, la conferenza che riunisce l’élite mondiale dell’analisi dei dati, il nuovo CEO della Juventus ha lasciato una dichiarazione che sembra già scolpita nel marmo bianconero: “Se i club mi chiedono di guidarli è perché vogliono che la mia cultura diventi la loro. Se fai ciò che è stato fatto finora, allora qualcosa non va.”
Boom. Un messaggio che non ha bisogno di sottotitoli: la Juventus non subirà un restyling, ma una vera riconversione industriale. Niente cerotti, niente maquillage. Una rivoluzione. Comolli lo ha spiegato chiaramente anche nel suo colloquio con Luciano Spalletti, già inserito nel nuovo processo decisionale molto più di quanto accadesse con Tudor. Per il dirigente francese, la cultura societaria è il motore del successo: mentalità condivisa, metodo, protocollo. E soprattutto dati, tanti dati, ovunque. Dati che indicano chi comprare, chi vendere, quando intervenire sulle performance, come prevenire infortuni e cali di rendimento.
Il nuovo corso bianconero passa da algoritmi che scandagliano il mercato, modelli predittivi sugli atleti, processi di reclutamento scientifici. Tutto quello che Comolli ha già sperimentato con successo altrove e che ora vuole trasformare nella colonna vertebrale della Juventus. Un approccio chirurgico, visionario, persino spietato. Una cosa è certa: con Comolli, la Juve non cercherà di tornare semplicemente competitiva, ma diventerà diversa. E, se i piani reggeranno, pericolosamente avanti rispetto agli altri. I tifosi incrocino le dita.
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