Buffon l’universale, solitario e guascone NON si è ritirato.

Buffon l’universale, solitario e guascone NON si è ritirato.TUTTOmercatoWEB.com
domenica 6 agosto 2023, 21:29Editoriale
di Roberto De Frede
Malgrado la storia, la leggenda vince sempre. (Sarah Bernhardt)

Viaggiando nel tempo e nello spazio, un ragazzino con un gessetto tra le mani, viene catapultato in un freddo 26 dicembre del 1860, nello spogliatoio dello stadio di Sandygate Road, a Crosspool, sobborgo di Sheffield nel Regno Unito, qualche istante antecedente l’inizio della prima partita ufficiale della storia del calcio. Lì osserva una lavagnetta con undici bastoncini disegnati, e accanto a quello solitario, senza alcun indugio, scrive un nome. Riparte come un razzo verso mete inesplorate, oltre i confini delle sfere celesti, e si ritrova in una sorta di infinito videogioco, nel bel mezzo di una partita di calcio tra Marte e Saturno, dove i calciatori sono contraddistinti nostalgicamente, come milioni d’anni fa, soltanto da numeri che vanno dall’1 all’11. Con il suo gessetto trasformatosi in raggio laser il giovane viaggiatore colpisce il numero 1 e all’improvviso appare, tra una nube di polvere di stelle, lo stesso nome inciso in quel pomeriggio di Santo Stefano, incancellabile nonostante cassini, stracci e disintegratori paralleli di Goldrake. Quel nome è BUFFON, l’essenza universale del portiere di calcio, colui che per un ventennio ha difeso a spada tratta la Juventus da pallonate di ogni genere e spesso non sempre e solo di cuoio. 

Leggera è la vita umana, dove ogni cosa avviene una volta sola e non si ripeterà mai più: essa è effimera e vola nell'aria come una bolla di sapone che ha appena avuto il tempo di prendere forma. C’è un concetto elementare che poniamo dentro di noi: che la vita è irripetibile. Ogni nostro istante, ogni nostra azione, ogni nostro gesto, insomma tutto ciò che ci è dato da vivere avviene una volta sola, non avverrà mai più. Eppure viviamo come se ciò fosse un concetto trascurabile, perché se provassimo a rifletterci mentre viviamo, la vita diventerebbe una paradossale nostalgia: la nostalgia del presente. Di certo un Buffon nasce ogni cento anni, quindi per la durata della nostra vita media è impossibile riveder ripetere un monumento simile; eppure il “Giginazionale”, per venti anni di bianconero ci ha fatto credere, forse illudendoci amorevolmente e allegramente, che le cose impossibili, le imprese con lui - solo con lui - potevano ripetersi, rendendo noi tutti più felici e meno nostalgici della domenica precedente.

All’annuncio delle formazioni in campo, quando il telecronista cominciava con quel nome dall’armonia francese, eravamo più tranquilli, facevamo un respiro di sollievo, consci che quella porta difesa da Buffon poteva rimanere vergine, strizzando l’occhio ad una vittoria già in tasca.

Strenuo difensore della sua Juventus, in campo e nello spogliatoio, dinanzi alle telecamere e ai tempi nefasti del colera calciopolesco. Campione del mondo con la Nazionale nel 2006, vincitore morale assoluto del pallone d’oro avendo portato per mano l’Italia ai calci di rigore contro la Francia, dopo una leggendaria parata – che dico parata, oserei dire poesia! - su colpo di testa di Zidane da far il paio a quella di Messico ’70 di Gordon Banks su Pelè, rinuncia a tesori milionari offerti da club di ogni parte del pianeta per rimanere nella sua Juventus e scendere all’inferno con lei, come un vero cavaliere d’altri tempi, con un unico obiettivo: tornare a vincere con la sua casacca bianconera. Onore a Buffon.

Il calcio come metafora della vita, chi sceglie di essere un portiere, si avvia verso la strada della solitudine e delle responsabilità; Gigi è andato oltre, raggiungendo la perfezione dell’esser nel contempo solitario, carismatico ma anche guascone, spavaldo, fiero, caratteristiche dei numeri uno, ma ammirate contemporaneamente soltanto in un atleta, nel portiere più forte della storia del calcio.

Buffon, come i gladiatori, ha appeso le scarpette, o meglio i guantoni al chiodo. L’appendere le scarpe al chiodo affonda le sue origini in un rito epico che avveniva in quel tempo a Roma e rivestiva un grande significato: la conquista della libertà. Quando gli antichi gladiatori lottavano con particolare merito, guadagnavano il diritto ad essere liberi dai combattimenti. Era allora costume consacrare qualcosa di molto importante al Dio Ercole, venerato per la sua fortezza come protettore. In un tempio a lui dedicato appendevano allora ciò che sempre li aveva accompagnati e li aveva aiutati nei loro combattimenti: le proprie armi. I guantoni di Buffon simboleggiano gioie e dolori della sua carriera, come le armi per i gladiatori rappresentano una appendice indispensabile e indissolubile. Ma Buffon non doveva conquistare più nulla, ha concesso soltanto al tempo che passa (imparabile!) di avere la meglio. I guantoni rimarranno appesi per non essere più utilizzati, ma le sfide, le fatiche, le gioie, la gloria, i trionfi rimarranno per sempre, quelli non saranno mai vinti dal tempo che scorre, ma invitti all’infinito.

Caro Gigi tu davvero credi di esserti ritirato? Molti ci stanno credendo! Ingenui! Ingenuo forse anche tu! Fino a quando continuerai nella mente di milioni di persone a negare a Pippo Inzaghi un gol già fatto volando alla tua sinistra, a respingere la cannonata di Podolski nell’inespugnabile Westfalenstadion e annullare la velenosa incornata transalpina di Zidane, sarai per sempre abile e arruolato, altro che ritirato!

Il destino degli artisti, dei geni, delle leggende, dei supereroi, dei poeti è immortale, ritirarsi per loro è un lusso non contemplato e tu sei troppo orgoglioso per concedertene uno. Pasolini era convinto che nel calcio vi sono dei momenti esclusivamente poetici: si tratta dei momenti del “goal”. Ogni goal è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice: ogni goal è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere di un campionato è sempre il miglior poeta dell’anno. Il prodigio è che tutte le parate di Buffon danno la stessa identica emozione di un gol e se Pasolini l’avesse conosciuto l’avrebbe investito d’una ghirlanda d’alloro eterna come fu per il Petrarca in Campidoglio.

Tranquillo Gigi, io non ci ho creduto a questa fake news del tuo ritiro e poi… chi glielo andrebbe a dire al ragazzino col gessetto laser?

Roberto De Frede