La Juventus deve per il futuro imparare la lezione di Adriano

Per vincere le battaglie non solo bisogna combatterle fino all’ultimo sangue, ma anche desiderare, all’inizio dell’impresa, fortemente la vittoria. La Juventus nel primo tempo contro la Lazio è scesa solo in campo, non giocando, lasciando l’anima negli spogliatoi; nel secondo stava giocando, vincendo, ma dopo lo sciagurato rosso, oltre ad una strenua e caotica difesa, nulla ha potuto e ha subito nei secondi finali un drammatico pareggio, consegnando il proprio destino “champions” nelle mani di altre squadre.
Tutto perduto? Non lo so. Di certo so che per il futuro prossimo la Juventus dovrà studiare tanto per tornare ad essere la prima della classe.
Il greco antico ha qualcosa di speciale: è sempre contemporaneo, una lingua fatta per andare all’origine della realtà e nominarla senza fronzoli, senza però tralasciare un’infinita varietà di sfumature, proprio per raggiungere, come si fa con uno strumento di alta precisione, l’identità di ogni cosa. Comprenderla significa ampliare i gradi di percezione del mondo, e forse anche vincere qualche partita in più.
Desiderio. Dal latino desiderium, formato da de-sidera, preposizione che indica lontananza e ‘stelle’. Fissare con lo sguardo una cosa o persona che attrae, come si fissano di notte i geroglifici delle stelle. Allontanamento, le stelle non si vedono più. Fissare allora con il pensiero una cosa o una persona che non si possiede e che si brama, che si desidera. In greco antico tutto questo si dice al modo ottativo: parola che deriva dal verbo latino optare, cioè desiderare, augurarsi, tanto è che il modo è detto anche desiderativo. Tutti gli autori classici, da Platone a Tucidide, da Sofocle ad Aristofane, usano senza timore l’ottativo per esprimere un desiderio possibile. L’ottativo greco è perciò la misura perfetta della distanza che intercorre tra la fatica che serve a fare i conti con un desiderio e la forza che occorre per esprimerlo prima di tutto a se stessi; nella convinzione che, in ogni situazione, sia la propria storia a dare un sottile ma sicuro vantaggio.
La Juventus non ha più tempo da perdere, dalla prossima penultima di campionato deve ritrovare la forza di usare l’ottativo, di desiderare, in quanto entità emozionale imprescindibile della quotidianità per raggiungere le stelle e gli obiettivi prefissati, e usarla nel futuro sempre, come la sua storia insegna. Il desiderio rende forti, solo chi sogna può realizzare il suo sogno: soltanto così la Juventus può dominare nuovamente i suoi avversari. (Così, e con l’innesto di cinque campioni nella rosa attuale, sapete con i campioni i sogni ottativi si realizzano meglio!)
Se la lingua esprime il pensiero e il pensiero richiama un bisogno, fissare un “modo per il desiderio” significa sostanzialmente confidare nella capacità dell’uomo di guardare sempre le stelle e sperare. Il desiderio è la mancanza che sospinge alla ricerca, è la veglia che rimanda all’attesa; la speranza è la condizione di chi vive un’esistenza aperta all’orizzonte del possibile. La lingua greca, fissando il “modo del desiderio”, mette l’uomo davanti ad una radicale verità: quando speriamo e desideriamo siamo come equilibristi in bilico tra il certo e l’incerto, il possibile e l’impossibile, il noto e l’ignoto, il realizzabile e l’irrealizzabile. Se c’è un “modo del desiderio”, c’è anche un modo di desiderare: affinché la speranza non si trasformi in illusione né cada nello sconforto, bisogna stare in equilibrio tra possibile e impossibile, realizzabile e irrealizzabile, tra “già” e “non ancora”. Insomma nella vita si può sempre pensare al desiderio dell’ottativo, senza dimenticare la realtà dell’indicativo, l’eventualità del congiuntivo, i patti con il condizionale e le intimazioni dell’imperativo. Il desiderio ha il suo modo, la speranza i suoi tempi: all’uomo sta adattare la vita all’uno e all’altro, rigenerandosi e riprogettandosi sempre.
E qui che ci viene in aiuto il metronomo, quel granitico latino, ove dell’ottativo non v’è più traccia, pur essendo indelebile negli animi alti e nobili. Ora capiamo meglio la confessione dell’Adriano di Marguerite Yourcenar: “L’impero, l’ho governato in latino, ma in greco ho pensato, ho vissuto, o sognato”.
Roberto De Frede
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