La lunga attesa, il Qatar e la Cremonese.

La lunga attesa, il Qatar e la Cremonese.TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Gianfranco Irlanda
domenica 20 novembre 2022, 18:12Editoriale
di Roberto De Frede
“Aspettare è ancora un'occupazione. È non aspettare niente che è terribile.” (Cesare Pavese)

In altri momenti questo tempo, e quello che ha preceduto la prima domenica qatariota, l’avremmo dedicato al campionato del mondo di calcio, a cominciare dalla non blasonata partita inaugurale odierna tra Qatar e Ecuador. Il Mondiale, uno stato d’animo, evocativo di sogni e chimere, leggende e trionfi, pianti di gioia e tristezza, partite tanto leggendarie per i vincitori quanto amare per gli sconfitti, forza emozionale tale da costruire pezzi di storia della nostra vita: da una decina d’anni tutto questo non ci appartiene. Purtroppo dispiace per i più giovani, i ragazzini italiani ginnasiali che non hanno ancora avvertito sulla pelle il fascino e le emozioni che solo la manifestazione mondiale sa regalare. Per loro non c’è stata maledettamente una prima volta. Due edizioni consecutive senza l’Italia, roba da mettersi le mani nei capelli al solo pensiero. Ahimè noi fortunati non possiamo aiutare questi adolescenti: un Mondiale non si può spiegare, tutt'al più lo si può raccontare come si racconta una favola. Lo si deve soltanto vivere, perché le parole possono arrivare fino a un certo punto.

Ci sono ragazzi cresciuti con la luce negli occhi per quel gol di Roberto Bettega all’Argentina, in una torrida notte del 1978, grazie al colpo di tacco smarcante di Pablito. Già, Pablito, Paolo Rossi: chi non lo ha vissuto, ha vissuto un po’ di meno. Sarebbe pura illusione far comprendere cosa sia stata l’Italia di Bearzot, quella che nel 1982 al Mundial spagnolo ha vinto contro tutto e tutti, asfaltando Brasile, Argentina e Germania e cosa rappresentarono per noi - e ancora rappresentano - quegli Azzurri. Tutto questo non ci sarà, nonostante il Qatar: il nostro tempo sportivo “non-mondiale” lo dedicheremo guardando qualche partita di cartello, scrutando gli undici bianconeri, semmai tifando – parola grossa - anche per le loro nazionali, fino ad arrivare a guardare quella coppa, ideata e disegnata dall'orafo e scultore italiano Silvio Gazzaniga, alzata al cielo nella finalissima del Lusail Iconic Stadium da un capitano che avrà l’onore e la gioia di seguire le gesta di Franz Beckenbauer, primo a sollevarla nel 1974 e dei nostri Dino Zoff e Fabio Cannavaro.

La circostanza anomala sarà che tutti i tifosi italiani, più che sentirla e viverla, attenderanno con ansia la fine della competizione planetaria; in particolare quelli bianconeri staranno col pensiero fisso alla bella città di Cremona, ma non per gustare il buon torrone, né per visitare le splendide liuterie, bensì per immaginare quali giocatori potranno scendere in campo contro i grigiorossi allo stadio Giovanni Zini un paio di giorni prima dell’arrivo della vecchia, brutta e prodiga Befana. Chissà se sulla scopa, nel sacco dei regali voleranno dal Vicino Oriente, ritornando a Torino in gran spolvero, quei doni doverosamente elargiti dalla Juventus alle varie Nazionali. Nella letterina indirizzata alla vecchina dal fazzolettone di stoffa annodato sotto il mento, vi sono scritti desideri e speranze: Vlahovic ritrovato goleador con il fido scudiero Kostic, il geniale Di Maria assieme al combattivo Paredes, l’inossidabile Rabiot, i tranquilli e utili polacchi Milik e Sczesny, il terzetto Danilo, Alex Sandro e Bremer della grande muraglia verdeoro pronto a respingere qualsiasi attacco e il texano McKennie ancora per un po’ in bianconero a correre a perdifiato. Nonostante saranno tutti reduci chi più chi meno dalle fatiche mondiali, spazziamo via sin d’ora quella paura di vederli stanchi e flosci. È un mondiale ad inizio stagione, non alla fine, quindi la lancetta delle scorte energetiche dovrebbe essere ancora ben lontana dalla luce rossa della riserva. E chissà se quella vecchietta non raccolga a volo anche il giocattolo più prezioso, quel Paul Pogba restaurato, rimesso a nuovo e pronto per le vetrine bianconere, con un fiammante Chiesa scalpitante per sfondare tutte le reti avversarie. Chissà… tra dubbi e timori, vi è però una certezza: l’attesa di tutto questo.

L’attesa non bisogna sottovalutarla, non è una perdita di tempo né un ponte temporale, è una curva di vita preziosa perché ci consente di conoscere, di capire e di riflettere. Del resto si dice che è un gran saggio chi beve il caffè attendendo i tempi lunghi della caffettiera “napoletana” perché usa bene il tempo, riflettendo e dialogando con la persona che gli sta accanto, o semplicemente pensando in solitudine. In questi quarantacinque giorni, che dividono il Qatar da Cremona, l’intero staff della Juventus dovrà bere con saggezza tanto buon caffè, per ritrovarsi più forte e più unito di prima, tenendo a mente che le ore che passeranno, scandite freddamente da una lancetta dell’orologio in modo passivo, non hanno nulla a che vedere con il tempo, dettato dalla voglia di essere sempre protagonisti e di fare il meglio possibile, con il lavoro e la passione. Come Marcel Proust nella Ricerca del tempo perduto riflette sulla letteratura, sulla memoria e sul tempo, legando tali elementi tra loro e scoprendo infine il senso ultimo della vita nell'arte e nella letteratura, così la Juventus, anche se decimata per la diaspora mondiale dei suoi crociati, deve riflettere sulla sua nobile storia, rievocando la memoria di trionfi gloriosi, lavorando al massimo nella preparazione atletica, nella tattica e nella tecnica, individuale e di gruppo, affinché l’obiettivo, il fine ultimo si realizzi: vincere sempre e ovunque.

Il bianconero doc si aspetta tutto questo, ci penserà ogni giorno, guardando le più forti nazionali del mondo, sognando in bianco e nero, fino ad arrivare in quel di Cremona, pronto per emozionarsi, consapevole e certo che l’attesa non è stata vana.