Verità, menzogna e realtà... del calcio.

Verità, menzogna e realtà... del calcio.TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Gianfranco Irlanda
domenica 2 aprile 2023, 21:00Editoriale
di Roberto De Frede
“In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.” (George Orwell)

La vita è unire i puntini. Unire i puntini… è il primo paragrafo del discorso, l’ultimo, di Steve Jobs alla Stanford University. Il padre della “mela mangiucchiata” lì si riferiva alla capacità di costruire il nostro destino unendo idee, concetti, fatti che le altre persone non sono in grado di vedere. Qui è lo spunto per riflettere che forse oggi ci sono persone che desiderano trasportare ciò che è (era) normale, in un’altra sfera, quella che destabilizza la memoria storica e i sogni di ognuno di noi.

Vi ricordate quel gioco che grazie all’unione di puntini veniva fuori una figura nascosta? Beh provate a mettere al posto dei puntini alcune parole: Attese di agende legali, Tribunale, Tar, Var, Consiglio di Stato, Sanzioni, Figc, Uefa, Superlega, classifica virtuale, Prisma… et similia! C’è gente che è convinta, dopo aver unito tutto questo ed altro ancora, che esce fuori il calcio! Convinta… diciamo forzatamente spinta ad esser convinta di ciò. Ma la figura del calcio non appariva invece quando si univano i puntini chiamati dribbling, gol, parata, partita, derby, scudetto, gioia, campione, schiappa, sudore, spogliatoio, amicizia, rivalità e tanto altro? Ma quale è allora la verità? E la verità è la realtà? E quest’ultima è menzognera o veritiera?

Nel 1967 Jorge Luis Borges pubblicò un libro, Cronicas de Bustos Domecq. Tra le varie cronache vissute e narrate, una si intitolava Esse est percipi, riprendendo la celebre massima del filosofo empirista George Berkeley. Il narratore protagonista si trova di fronte a uno strano fenomeno: la scomparsa dalla sua sede abituale a Buenos Aires del monumentale stadio River. Inizia così un’indagine che lo porta a consultare Tullio Savastano, il presidente del club Riserve Juniores, che gli rivela l’arcano: «Non esiste punteggio, né formazioni, né partite, gli stadi cadono tutti a pezzi. Oggi le cose succedono solo alla televisione o alla radio; l’ultima partita di calcio è stata giocata il 24 giugno 1937. Da quella data il calcio, come tutta la vasta gamma degli sport, è un genere drammatico, orchestrato da un uomo solo in uno studio o interpretato da attori in divisa da gioco davanti al cameraman». Forse il 1937 è una data un po’ troppo anticipata per segnare questa scomparsa del calcio giocato e visto dal vivo. E forse lo è anche quel 1967 in cui Borges la profetizzò nell’ambito del suo scetticismo cosmico. Insieme al calcio, infatti, Savastano rivelò a Bustos Domecq che «anche la conquista dello spazio è una coproduzione televisiva statunitense-sovietica» e alla preoccupata domanda dell’investigatore «ma allora nel mondo non accade nulla?» la risposta, data con tipica flemma inglese, fu un semplice e conclusivo «ben poco».

Credo invece che oggi stia accadendo molto: la sensazione forte è quella di avere davvero a che fare con una menzogna, raccontata più o meno bene, da gente che finge di lottare per il calcio e per la giustizia, ma non fa altro che disunire sempre di più quei puntini, quelli buoni, che un tempo formavano il gioco più bello del mondo. Il calcio non può continuare ad essere orchestrato da autorità che del pallone che rotola sull’erba se ne infischiano, infangando i sogni di milioni di persone: il gioco del calcio deve orchestrare di nuovo gli animi della gente, regalando loro pathos, gioia, felicità, non destare preoccupazioni, ansie e paure! Tanti, pur di cavare solo interessi personali (intendendo per "personali", almeno decine e decine di persone…), pretendono di disintegrare tutti i misteri del calcio, quelli romantici, quelli antichi, quelli per il quale è nato il football! Fortunatamente non è ancora stato inventato un arnese in grado di smontare tutti i misteri. Vorrebbero far intendere che il calcio è solo amministrazione, giustizia, burocrazia, e false strette di mano… beh sarebbe un po’ come voler spiegare il Don Chisciotte di Cervantes contando la quantità di virgole, punti, soggetti e verbi che compongono il capolavoro! Follia e cattiveria!

Dicevamo dell’«esse est percipi», ovvero l’essere significa essere percepito: tutto ciò che siamo in grado di dire sugli oggetti reali è che li percepiamo, ed il semplice fatto che ci sembrino reali non implica affatto che esistano nella realtà. Vorrei tanto che alcune cose del calcio oggi non esistessero nella realtà, vorrei tanto dar ragione a Berkeley…

La mia realtà è ancora quella che forse sogniamo tutti: quella dell’urlo di Tardelli contro la Germania, del gol di Del Piero a Tokio, delle punizioni di Platini contro il Torino, delle cavalcate bianconere dei nove scudetti consecutivi, della poesia mistica di Baggio, degli infiniti gol di Trezeguet e dell’immensità di Scirea. La realtà di oggi, vera o falsa che sia, forse è un’altra… ma del resto nel titolo la parola realtà può essere intesa sia al singolare, ma anche ahimè al plurale, e chi ama veramente lo sport più bello del mondo deve far sì che ne resti una sola, singolare, sintetizzata nella definizione del calcio, romantica, fanciullesca e di buon auspicio, che ne diede Javier Marìas: «recupero settimanale dell’infanzia».