Analisi tattica — La scintilla nel gelo: perché il secondo tempo di Bodo può indicare la strada per la Juve di Spalletti
Il 3-2 sul campo del Bodo/Glimt non è stato solo una vittoria sofferta in Champions League: è stato un laboratorio tattico dove Spalletti ha provato — con effetto immediato — soluzioni che potrebbero diventare strutturali per la Juventus. Il primo tempo norvegese aveva confermato i limiti visti a Firenze con il 3-4-2-1: lento nel costruire, fragile nelle transizioni avverse e poco incisivo in avanti. Ma il cambio al rientro dagli spogliatoi ha ridisegnato volto e identità bianconera.
Spalletti è passato al 4-3-3 (o meglio a una transizione 4-3-3 molto dinamica), con Locatelli e Miretti più mediani e McKennie nel ruolo chiave di incursore. Questo centrocampo — Locatelli/Miretti in doppia protezione della difesa e McKennie come anima verticale — ha dato equilibrio: Locatelli porta quantità e dinamismo, Miretti porta qualità di movimento e gestione della palla, McKennie porta inserimenti pericolosi negli ultimi 20 metri. Miretti, in particolare, è stato più presente nell’azione offensiva della ripresa e ha trovato anche il fondo rete, poi annullato da un offside millimetrico innescato da Openda all’inizio dell’azione: episodio che però conferma come il ragazzo riesca a incidere maggiormente quando è libero da compiti eccessivamente laterali.
Davanti, l’avanzamento del tridente con Yildiz e Conceição sugli esterni e Openda riferimento centrale ha trasformato la Juve. Yildiz, quando ha trovato campo, è stato costantemente pericoloso: la versione “con Yildiz” è una Juve diversa — più rapida, più verticale, capace di creare superiorità numerica e di sfruttare lo spazio alle spalle della difesa. La partita ha rimarcato una verità tattica semplice ma centrale: la Juve con Yildiz e la Juventus senza Yildiz non sono la stessa cosa; il turco, nelle giornate giuste, ha la capacità di creare situazioni dalla fascia che gli altri faticano a generare.
La coppia centrale Kelly–Koopmeiners è stata un altro elemento dirompente: due profili che nella scorsa stagione sono stati spesso criticati e invece qui diventano quasi imprescindibili. Kelly porta fisicità, letture difensive e capacità di spezzare le linee avversarie; Koopmeiners aggiunge intelligenza tattica e qualità di passaggio per far correre la palla. La loro convivenza funziona perché mischia presenza e visione: Kelly garantisce la stabilità, Koopmeiners la linfa tecnica che accelera la manovra. Entrambi sono passati dall’essere sottoposti a giudizio a pezzi chiave di una squadra che deve recuperare ritmo e identità.
Tecnicamente la ripresa è stata una lezione sui principi che Spalletti vuole: pressione sincronizzata, terzini che spingono e partecipano all’azione, mezzali che cercano le linee interne e attaccanti laterali pronti a tagliare in area. I terzini hanno offerto appoggi, i centrocampisti hanno creato linee di passaggio verticali, e gli attaccanti hanno saputo sfruttare spazio e rimbalzi. McKennie, come incursore, ha dato il meglio: la sua capacità di penetrazione e il suo tempismo negli inserimenti sono stati decisivi per il 2-1.
Dal punto di vista difensivo, il cambio a quattro ha dato maggiore ordine e solidità contro le ripartenze del Bodo — anche se la squadra non è immune da amnesie: il rigore derivato dall’ingenuità di Cabal, entrato ad un quarto d'ora dalla fine ha rimesso in discussione la partita e sottolinea come la necessità di attenzione e concentrazione resti altissima. L’episodio conferma inoltre che la Juve, per quanto possa cambiare modulo, paga ancora quando perde il filo nel momento della transizione difensiva.
In attacco resta però il nodo della finalizzazione: la Juve ha costruito molte occasioni e tiri, ma ha anche sbagliato troppe conclusioni — alcuni errori imputabili al singolo, altri alla fretta nel cercare la giocata risolutiva. Il portiere avversario e un pizzico di imprecisione non possono oscurare la necessità di maggiore lucidità in area e di riempire meglio la stessa area con uomini pronti a capitalizzare.
La lettura complessiva è chiara: il secondo tempo contro il Bodo/Glimt è stato un banco di prova positivo per l’ipotesi Spalletti-4-3-3. Ha messo in mostra una Juve più veloce, più verticale e più pericolosa quando riesce a schierare i profili giusti — Yildiz su tutti — e quando la coppia centrale di difesa (Kelly-Koopmeiners), trova equilibrio tra rottura e costruzione. Resta il lavoro sulla continuità mentale e sulla capacità di non abbassare la soglia di pericolo nei momenti di pressione subita.
In definitiva: il gelo norvegese ha acceso una scintilla tattica. Non è ancora la svolta definitiva, ma è la prova che Spalletti ha strumenti concreti per far evolvere la squadra. Se riuscirà a imporre continuità nei dettagli — timing del pressing, riempimento dell’area, precisione nelle conclusioni — quella scintilla può diventare fuoco.
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