McKennie, il nuovo soldatino: dal Texas alla Juventus con lo spirito di chi non arretra

McKennie, il nuovo soldatino: dal Texas alla Juventus con lo spirito di chi non arretraTUTTOmercatoWEB.com
© foto di www.imagephotoagency.it
Oggi alle 20:20Primo piano
di Nerino Stravato

​“Tu chiedimi e io eseguo”. Luciano Spalletti lo ha raccontato così nella conferenza stampa alla vigilia della sfida con il Napoli,  e in quella frase c’è tutto Weston McKennie. Una definizione che richiama un’immagine familiare al popolo bianconero: quella del “soldatino”, simbolo di dedizione, sacrificio e fedeltà alla causa, proprio come lo fu Angelo Di Livio negli anni ’90, uno che con quello spirito si è portato a casa anche una Champions League. E se Di Livio era il soldatino nato e cresciuto nell’ossessione del calcio italiano, McKennie è il soldatino dall’Oltreoceano, con un’origine diversa ma un cuore simile: testa bassa, zero lamentele, compiti chiari e nessuna paura.

​D’altronde lo spirito gliel’ha insegnato la vita prima del pallone. Nato nello stato di Washington, figlio di un militare, cresciuto tra Stati Uniti e Germania seguendo i trasferimenti del padre, Weston ha imparato presto ad adattarsi, ad affrontare l’ignoto, ad essere pronto ogni volta che bussava un nuovo contesto. Il coraggio non è un talento: è una decisione quotidiana. E lui l’ha presa a 17 anni, quando davanti aveva tre strade — contratto sicuro con l’FC Dallas, una borsa di studio universitaria e una chiamata dallo Schalke 04. Scelse la terza. Quella meno facile. Quella che non offriva garanzie, ma sfide. E il “soldatino” cominciò a marciare.

​Lo stesso spirito che si è ripresentato alla Juventus, in un percorso tutt’altro che lineare. Arrivato in un momento di cambiamento, ha attraversato due stagioni in cui sembrava fuori dal progetto: messo ai margini, poi dentro, poi di nuovo fuori. C’è un’immagine che ha colpito tutti e che lui non ha mai nascosto: quando rientrò alla Continassa e non aveva nemmeno più l’armadietto nello spogliatoio. Non era solo una metafora: era un messaggio chiaro. Il posto, per riaverlo, doveva guadagnarselo da zero.

​In mezzo il prestito al Leeds, mesi in cui molti pensavano che l’avventura bianconera fosse giunta al capolinea. Sembrava finita lì. Ma un soldatino non torna indietro. Si rimette in moto, senza clamori, con un sorriso e un compito. Da Pirlo, passando per Allegri, Motta, Tudor fino a Spalletti, hanno visto in lui non solo un giocatore duttile ma un profilo umano raro: può essere mezz’ala, quinto, frangiflutti, incursore, rifinitore. Non eccelle nella copertina, ma domina nella fotocopia del sacrificio. Ciò che Spalletti chiama “diventa esecutivo”, alla Juve si traduce in un valore preciso: affidabilità.

​Il popolo bianconero ama chi si prende il posto senza chiedere un titolo, senza pretendere la fascia, ma con il sudore che non si vede davanti alle telecamere. McKennie ha fatto esattamente questo, come faceva Di Livio alla sua epoca: meno parole, più campo. Nessun proclama, solo il rumore degli scarpini sull’erba.

​Ed è per questo che oggi, dopo partenze annunciate, valigie fatte e disfatte, ruoli cambiati e armadietti scomparsi e ritrovati, Weston McKennie è ancora lì. Dal primo minuto. Presente. Utile. Fondamentale. Il soldatino del Texas che la Juventus non sapeva di aspettare, ma di cui oggi non può più fare a meno.