Tudor e la “pazzia del calendario”: ma la Juve non deve cercare alibi

Igor Tudor, davanti ai microfoni, ha parlato di “pazzia di calendario”. Una frase che suona come un grido di stanchezza, ma anche — diciamolo senza giri di parole — come un’ombra di scusa. E alla Juventus, le scuse non piacciono. È vero, il calendario è feroce: Borussia, Villarreal, Real Madrid, con in mezzo Inter, Atalanta, Milan. Ma la storia bianconera è fatta proprio di questi muri da scalare, non di mani alzate in segno di resa preventiva. Quando hai la scritta Juventus sul petto, non puoi lamentarti della salita: devi ringraziarla, perché è lì che si misura la grandezza.
Tudor ha parlato di stanchezza, di rigori mancati, di frustrazione per i pareggi. Ma il vero problema è un altro: il tono. Nella sua voce non c’è la sfida, c’è il rimpianto e il nervosismo del momento. E alla Juve, il rimpianto è un lusso che non ci si può permettere. Un allenatore bianconero — da Trapattoni ad Allegri, passando per Lippi — non cerca attenuanti: le cancella. Sa che la “pazzia del calendario” è il pane quotidiano dei forti, e che ogni parola fuori posto rischia di diventare benzina per i dubbi. Se Tudor vuole restare sulla panchina della Juve, dovrà imparare presto la prima regola del mondo bianconero: la Juventus non si giustifica, vince. O perlomeno prova a farlo, sempre: anche quando il calendario è una condanna.
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