A Como che sia una Juventus guarita dalla pareggite e “macchiata”

Una delle citazioni più toccanti e poetiche, che racchiude l'atmosfera e la bellezza di Como e del suo lago, viene attribuita al grande scrittore francese Stendhal: «Quando scriverete la storia di due amanti felici, collocateli sulle rive del Lago di Como». All’ora di pranzo baratterei volentieri con due gol bianconeri. Su quel ramo del lago di Como… alias allo stadio Giuseppe Sinigaglia la Juventus ha disputato contro i lariani una ventina di partite, pareggiandone cinque. Che oggi quel risultato inutile non sia contemplato!
Il pareggio, un'ombra nella cultura del successo, quel risultato numericamente neutrale dove né vincitori né vinti prevalgono, è spesso percepito, nella società sportiva e in quella odierna in generale, come l'inutile per eccellenza. In un'epoca dominata dalla "cultura del successo" e dal bisogno di risposte immediate e definitive, il segno "X" in classifica non solo manca di epica, ma viene bollato come l'esito più privo di significato: un compromesso quasi sempre non voluto che accontenta pochi, soddisfa nessuno e, in molti casi, danneggia entrambi. Definire il pareggio come inutile è, in questa prospettiva, un giudizio severo ma coerente con la cultura della performance e della spettacolarizzazione. Esso rappresenta l'ambiguità che l'epoca moderna tenta in ogni modo di eliminare. Mentre i puristi possono difenderlo come espressione di un equilibrio di forze o come una pausa di riflessione, la realtà dei fatti dimostra che, nella corsa ai punti, alla gloria e all'intrattenimento, il risultato che non sceglie è spesso il risultato che non conta. Il pareggio è l'anti-climatico per definizione: è la mancanza di fuoco in un gioco che esige fiamme.
Una grande e grave “macchia” per i prossimi tre mesi sarà l’assenza di Bremer, il perno fondamentale e imprescindibile della difesa bianconera. Rimettersi in carreggiata nel calcio è l'essenza della narrazione sportiva: è il racconto di atleti che, dopo essere caduti, hanno dimostrato che il talento da solo non basta. Ci vuole la tenacia di chi, pur zoppicando, continua a camminare. La vittoria finale non è solo il gol o la coppa, ma la dimostrazione che, con disciplina, pazienza e una mente forte, è sempre possibile non solo tornare al livello precedente, ma diventare una versione di sé stessi più forte e consapevole. È la resilienza che trasforma la crisi in opportunità, e l'infortunio in un trampolino di lancio. Auguri Bremer, che questa macchia, e non solo questa, si trasformi in un qualcosa di positivo. Proprio così.
Basta osservare Castiglioncello dipinta da Giovanni Fattori in numerosi suoi quadri per comprendere come la luce possa emergere solo dal buio. Anzi, da macchie di nero, propriamente ottenute sulla tela con uno specchio annerito dal fumo per rendere gloria alla luce del tramonto sul mare di Livorno, l'isola di Capraia all'orizzonte, il sole che si abbandona al mare, donna sedotta, arancia matura. Bellezza insostenibile. Furono loro, i Macchiaioli, movimento artistico fondato a Firenze nel 1855 e giunto fino a Montmartre a Parigi, ad affermare che la visione delle forme è creata dalla luce con macchie di colore, distinte, accostate o sovrapposte ad altre macchie di colore. Perché dunque, quando pensiamo alla parola macchia, la nostra prima reazione è disagio, imbarazzo, seccatura come fosse qualcosa di sporco, di unto, sgradevole onta da lavare via al più presto?
In latino macula significava vuoto, lacuna, una piccola zona che interrompe la piatta uniformità della superficie. Un colore diverso, soluzione di non continuità. Stranezza sì, ma senza giudizio alcuno. Molto di più raccontano tutte le nostre maglie, che derivano dalla stessa parola latina. Non certo le t-shirt da gettare nel cesto del bucato, da smacchiare, ma il frutto di cura e pazienza del lavoro a maglia che conoscevano le nostre nonne: l'arte di intrecciare lana, seta, cotone o addirittura il metallo delle armature medioevali. Belle come pizzo pregiato, sono le nostre macchie: la meraviglia nasce dagli spazi vuoti, liberi da ordito, mai dai pieni. Macchia come sorpresa, dunque, ancor meglio come ci illumina il significato nella seconda accezione, ovvero quello di zona ricoperta di vegetazione, la selva oscura di Dante che apre la Divina Commedia, in opposizione alla desolazione del terreno vuoto circostante.
Forse le storie migliori non nascono dal buio, dall'intreccio, dallo smarrirsi nel troppo pieno? E allora che la Juventus cominci finalmente, nonostante le avversità d’ogni sorta, a macchiarsi e macchiare noi tifosi di sorprese fruttifere di vittorie.
Roberto De Frede
Iscritta al tribunale di Torino al n.70 del 29/11/2018
Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246
Direttore responsabile Antonio Paolino
Aut. Lega Calcio Serie A 21/22 num. 178
