Alla ricerca delle palle di piombo di Madama
Pausa di riflessione grazie alla Nazionale, una delle più brutte e meno appassionanti della storia. C’era da aspettarselo, questo ci passa il convento, pardon gli autoctoni del calcio nostrano con mutandoni e scarpe bullonate. Mentre gli Azzurri giocano a far girare la palla, la Juventus si spera rifletta. La riflessione è il rimandare indietro il pensiero a qualcosa, riconsiderandolo, ripensandoci su con attenzione: dopo l’esperienza che facciamo di giorno alla luce diretta del sole, è alla luce riflessa della luna, di notte, che arriva la riflessione intellettuale. In questo senso l’attitudine alla riflessione è cifra di grande discernimento fra ciò attraverso cui la nostra mente può passare senza soffermarsi e ciò che invece è meritevole di essere rivisto, ricontemplato.
In questi quindici giorni lunari senza campionato la Juventus dovrebbe frugare nelle sue tasche e capire chi è davvero, cosa può dare a noi e cosa può chiedere a se stessa. Testimoni modesti e veritieri, le cose che si portano in tasca riferiscono della vita in tutti i suoi aspetti, materiali e ideali, ma sono anche l'altro, quello che ci contraddice sempre. Il pettinino del bello del quartiere, il volantino fratello scemo della pubblicità, lo specchietto a due facce, il portafoglio, un anello molto simile ad una fede matrimoniale tolta dal dito, il silenzio, il numeretto della fila, il niente, una manciata di mentine, la lettera d'un addio incompiuto, la chiave che non apre più alcuna serratura, frammenti di speranza, schegge di storia. Tutti oggetti di ricordi tenaci e nebulosi che si modellano nel palmo della nostra vita.
Riflettendo in questi azzurrati giorni, cosa avrà trovato Madama nelle sue tasche? Qualche buontempone potrebbe dire niente, perché bucate, scucite maldestramente. Ebbene, in questo caso ci sarebbe la poesia di Rimbaud a ricucirle per farci almeno sognare: «Me ne andavo, coi pugni nelle tasche sfondate;/Anche il mio paltò diventava ideale;/Andavo sotto il cielo, Musa! ed ero il tuo fedele;/Perbacco! quanti amori splendidi ho sognato!». Il mio augurio invece è che le tasche bianconere somiglino molto a quelle di Jean Robic, miraggio di tutte le tasche. Personaggio di spicco e grande atleta a dispetto della minuscola taglia fisica e del comportamento irrazionale che lo portava a compiere autentiche imprese e poi a deludere profondamente il giorno successivo. La sua vittoria più celebre è senza dubbio quella al Tour de France del 1947, la prima edizione dopo la Seconda Guerra Mondiale, conquistata con una rimonta straordinaria nell’ultima tappa, che gli permise di superare il favorito Pierre Brambilla e aggiudicarsi il prestigioso maillot jaune, la maglia gialla unica volta indossata nella sua carriera. Lo vinse su una bicicletta scalcagnata dopo aver percorso le 21 tappe, per un totale di 4.640 chilometri in 148 ore, 11 minuti e 25 secondi. Apparentemente tutto normale, dalla sua faccia da panettiere francese al suo modo di montare la bici. Ma la fame e l'ossessione della vittoria - la bellezza, potremmo dire - spesso non sono visibili a chi guarda la corsa dal di fuori. O piuttosto, stanno dentro le tasche. Robic ci metteva dentro palline di piombo, che forse rendevano più dure le salite, ma, quando scendeva, lo faceva alla velocità di un proiettile, come nessun altro.
Roberto De Frede
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