Stati d’animo... Juventus-Inter 4 a 3. Una partita, da sempre una Storia contemporanea.

Quattro a tre! O scrivetelo pure coi numeri: 4 a 3! Non potrà mai essere soltanto cronaca o immagine di un tabellino. Quando si tratta di Italia-Germania, o di Juventus-Inter, è Storia. Dall’Azteca all’Allianz, da Gianni Rivera ad Vasilije Adžić, una vita, una vittoria, un’emozione indelebile.
Coloro che scrivono con regolarità sul calcio riconoscono spesso con obiettività il carattere effimero dei loro testi; la stagione seguente cancella quella che è appena conclusa e la fa perdere in un rapido oblio. Di solito è così, ma non quando è di scena il derby d’Italia. Qui il tempo si ferma, diventando infinito, mai passato, sempre presente.
Si dice che noi juventini non sappiamo perdere: nulla di più vero, non siamo abituati a ciò. Si può essere di una squadra per molti motivi, ma una volta decisa la preferenza questo segna, e non c'è chi la possa cambiare, ci si abitua a vedere il calcio da un determinato stato d'animo, e quello dei bianconeri era uno stato di fiducia con un'aspettativa di lusso: non soltanto si sarebbe vinto, ma ci sarebbe stato spazio per il bel gioco e sarebbero avanzati pure alcuni gol. Era una delle poche squadre al mondo di cui i tifosi non temevano i giocatori. Da sempre è stato così. Massima fiducia accordata.
Negli ultimi anni, tuttavia, le partite della Vecchia Signora le abbiamo viste con la stessa apprensione con cui una nonna assiste alla recita scolastica di prima elementare cui partecipano, novelli attori, i suoi nipotini, temendo che possano sbagliare, che prendano un’inciampata, che dimentichino la battuta o che appaiono molto brutti mascherati da pastorelli. Strano vedere me stesso come uno sconosciuto lanciare sospiri di sollievo perché lo stopper di turno ha commesso un fallo e applaudire con forza un gol fortunoso, quasi evento miracoloso: circostanze che nella mia infanzia mi avrebbero fatto chiedere scusa. Tutto questo è stato per un po’ di tempo molto curioso: un amico, non juventino, era solito dirmi che la vittoria infrequente era molto più saporita. Non lo credo, non l’ho mai creduto, e meno male che ancora non sappiamo perdere. Questo ruolo di nonnina apprensiva è risultato quanto mai deprimente, e i signori tifosi bianconeri da qualche anno sognavano colpi di carambola per far girare la scena, nuovamente come un tempo. Palcoscenici diversi.
Il nuovo sipario si è aperto ieri sera nel Regio di Torino, dove nel golfo mistico rettangolare verde i professori d’orchestra in un elegante bianconero hanno scritto una nuova pagina di storia, scaraventando i suonatori nerazzurri giù giù in classifica, a sei punti dalla vetta. Un margine che alla compagine di Tudor – che somiglia sempre di più al guerriero di Coelho - fa bene sia dal punto di vista matematico, che mentale. Ieri sera i tifosi della Vecchia Signora forse per la prima volta dopo tante partite non hanno temuto i loro stessi beniamini, anche prima dei gol di Thuram e del principe montenegrino, e quell’effetto di nonna apprensiva pare allontanatosi come ai bei tempi.
Per Benedetto Croce, la Storia è un atto spirituale e un'attività del pensiero, non una semplice collezione di fatti passati. La sua famosa tesi, ogni vera storia è storia contemporanea, significa che il passato acquisisce significato solo quando viene interpretato alla luce delle esigenze e degli interessi del presente. Lo storico non si limita a raccogliere dati, ma li rivive e li comprende in base ai problemi e alle domande che la sua epoca gli pone. In questo senso, la storia è sempre storia viva, in contrapposizione alla cronaca, che è considerata una storia morta o un mero elenco di eventi non ancora interpretati. Per Croce, la storia è intrinsecamente legata alla vita dello Spirito, un processo dinamico e in continua evoluzione.
La distinzione tra storia e cronaca è una delle pietre angolari della sua filosofia. Non si tratta di una differenza di contenuto, ma di atteggiamento spirituale da parte dello storico. La Cronaca è "storia morta": è il mero elenco di fatti, la registrazione passiva degli eventi in ordine temporale. Essa raccoglie i "documenti morti", cioè le informazioni su ciò che è successo, senza che vi sia un'interpretazione, una connessione logica o un'esigenza interiore che li renda vivi e significativi per il presente. È una sorta di archivio, un insieme di dati che ancora non hanno un senso. Un esempio di cronaca può essere una lista di date e battaglie senza un'analisi delle loro cause e conseguenze, o perché no, una lista di partite di calcio e precisi tabellini, memorizzati ma senz’anima. La Storia è "storia viva": è l'atto del pensiero, il momento in cui i fatti del passato vengono rivissuti e compresi dallo storico in risposta a una domanda o un problema del presente. La storia non è la riproduzione del passato, ma la sua rielaborazione. Lo storico, con la sua sensibilità e i suoi interessi attuali, infonde vita ai fatti morti della cronaca, cogliendone la loro rilevanza per la nostra esistenza. La storia nasce solo quando la cronaca viene "animata" da un atto di pensiero e di passione, trasformando i dati inerti in un racconto significativo che ci aiuta a capire il nostro presente. Pertanto, secondo Croce, un evento diventa "storico" solo quando c'è uno storico che, con un interesse contemporaneo, lo rende tale.
Juventus Inter, non è mai stata né mai sarà mera cronaca e tabellino, bensì una storia infinita e sempre contemporanea, vissuta e rivissuta, come quella vincente di ieri sera, pronta per diventare una futura storia contemporanea.
Roberto De Frede
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