Un’impasse bianconera pericolosa, sognando le gesta di Dortmund!

È quasi Ferragosto. Ciò che temevo ahimè si sta puntualmente verificando: arrivare a ridosso della prima di campionato, e non avere la squadra completa. Mancanza di idee o di soldi? In entrambi i casi un grosso guaio per Tudor e compagni bianconeri. Di certo la Juventus non naviga nell’oro, e si sa che quel metallo abbagliante apre tutte le porte, anche quelle delle idee. È contrazione del detto di Menandro «l'oro apre tutto, anche le porte di bronzo», divenuto proverbiale già in epoca antica e ripreso da vari autori classici. L'espressione fu spesso riferita all'ambito bellico (ma oggi cosa è che disgraziatamente non ricordi una guerra?): secondo Filippo di Macedonia non esistevano fortezze inespugnabili, se solo vi poteva salire un asinello carico d'oro. Questo perché, secondo la tradizione, Filippo avrebbe un giorno consultato un oracolo ricevendone come risposta il consiglio: “combatti con lance d'argento e conquisterai tutto”. E così il Maresciallo di Francia Gian Giacomo Trivulzio, avrebbe detto al re di Francia Luigi XII che voleva invadere Milano: «Per vincere una guerra ci vogliono tre cose: primo, il denaro; secondo, il denaro; terzo, il denaro».
Al timone della Juventus si parla francese, e a causa delle principali figure stagnanti che portano i nomi di Vlahović, Luiz e Gonzalez, si può ben dire di trovarsi in un’impasse difficile e pericolosa. E meno male che almeno non siamo costretti ad esclamare di essere incappati in un cul de sac, espressione molto meno nobile! Nel 1763, il termine "impasse" viene usato per indicare un "vicolo cieco". Deriva dal francese che significa "strada impercorribile, vicolo cieco, impasse", usato già nel XVIII secolo. La parola si forma dall'assimilazione di in-, che significa "non" o "opposto di", e passe, che significa "passaggio," proveniente da passer, ovvero "passare". L'uso figurato del termine, risalente circa al 1840, potrebbe derivare dal suo impiego nel gioco di carte del whist. Si dice che Voltaire lo abbia coniato come eufemismo per cul de sac, scrivendo una lettera aperta ai signori parigini: «... dans l'impasse de St Thomas du Louvre; car j'appelle impasse, Messieurs, ce que vous appelez cul-de-sac: je trouve qu'une rue ne ressemble ni à un cul ni à un sac: je vous prie de vous servir du mot d'impasse, qui est noble, sonore, intelligible, nécessaire, au lieu de celui de cul ...».
Intanto oggi pomeriggio Dortmund chiamerà e la Vecchia Signora dovrebbe rispondere a tono. E se la città della Renania Settentrionale-Vestfalia fosse per la Juventus un amuleto? Del resto tutto (o quasi) cominciò da lì…
È la stagione 1995/96, quella che stabilì gran parte dei simboli e delle espressioni associate ad Alessandro Del Piero. È in quell’estate, per esempio, che Gianni Agnelli lo soprannomina «Pinturicchio», in risposta al Baggio «Raffaello». Succede durante l’appuntamento rituale di Villar Perosa, in cui l’Avvocato in jeans e stivali da cowboy risponde lapidario ai cronisti, che come sempre lo interpellano come fosse un oracolo, consapevoli della sua capacità di fornire titoli a effetto. E tra un parere sulla Ferrari, pronostici sulla Serie A e una battuta su Sacchi, eccone un’altra: «Del Piero è come Pinturicchio». C’è del personalismo, ovviamente, dietro questi soprannomi, un atteggiamento da padre-padrone che con l’umorismo dà giudizi sui suoi campioni. Con Sivori era stato bonario («è più di un fuoriclasse, per chi ama il calcio è un vizio»), ma già quando aveva definito Boniek «bello di notte» voleva elogiarlo per le sue prestazioni nelle coppe, certo, ma anche sottolineare implicitamente una sua mancanza nel campionato. Allo stesso modo, Baggio in altra occasione è stato un «coniglio bagnato». Lo stesso Pinturicchio, con tutto il rispetto, non è granché. È il soprannome con cui è conosciuto il pittore quattrocentesco Bernardino di Betto Betti, e sta per «piccolo pintor», piccolo pittore, perché l’artista aveva una corporatura minuta. È un maestro conclamato della scuola umbra, e anche Alessandro è un artista pur non essendo un gigante, ma non è mica da questi particolari che si giudica un pittore o tantomeno un giocatore, e non serve un libro di storia dell’arte per capire che il parallelo con Baggio-Raffaello non regge. Cos’è Pinturicchio: un complimento uscito male o una battuta che nasconde nostalgia per il Codino? Non si capisce. Nemmeno Del Piero lo sa: «Forse vuol dire che posso ancora migliorare». Per il momento ci si deve accontentare del soprannome in sé, perché – su questo non ci sono dubbi – il fatto stesso che Gianni Agnelli si sia scomodato a darne uno a Del Piero è indice della centralità di Alessandro nel progetto juventino.
Il 13 settembre 1995 in casa del Borussia la Juventus esordisce in Champions League, la tappa più difficile del viaggio. Il Westfalenstadion sarà anche favorevole a Vialli e compagni, ma il «muro giallo» dei tifosi di casa fa sempre impressione e il Dortmund è un’ottima squadra, piena di ex (Kohler, Júlio César, Reuter, Möller), il che non è mai un buon segno. La Juventus ha fuori Vialli e Ravanelli, deve affidarsi a Padovano e Del Piero e a meno di un minuto dall’inizio prende gol proprio da Möller. Poi però si accende Alessandro, nasce l’età dell’oro, che trasforma gli accenni di una possibile disfatta in elementi di ulteriore pathos in una delle partite fondamentali della storia dei bianconeri. Al dodicesimo, mette in mezzo un pallone su cui Padovano trova la frustata giusta, ed è subito pareggio. Poi, al trentasettesimo, ha l’epifania internazionale: recupera in profondità un’apertura intelligente di Jugović. Si ferma sul vertice sinistro dell'area di rigore tedesca. Qui inizia la danza. Finta di andare a destra, poi compie un movimento appena percettibile, un'oscillazione del bacino che sembra portarlo a sinistra. Kolher, icona di un passato che è passato, davanti a lui ci casca e perde il tempo. Il simpatico baffetto è già in birreria a tracannarsi una doppio malto per provare a lenire il dolore, quando Alex calcia. Bruno Longhi, in telecronaca su Canale 5, trattiene il fiato. Del Pierooooo... poi un silenzio di qualche secondo, solo per cercare di capire dove sta finendo il pallone, che si piazza a giro sul secondo palo della porta difesa da Klos, che altro non può fare che guardare. Longhi esplode: "Un gol meraviglioso, pazzesco! Siamo tutti emozionati. Ma cosa ha fatto?". Ha fatto il primo dei "gol alla Del Piero". Uno zaffiro che sgrana pupille e conquista. Una roba che non si era mai vista. Ovvero, da dizionario, una rete fatta colpendo il pallone di interno collo, con un tiro a giro sul secondo palo dal vertice dell’area di rigore e che, appunto, segue una traiettoria a mo’ di pallonetto. Un brand, un marchio di fabbrica, non certo una botta di fortuna. Le prossime vittime si chiameranno Glasgow Rangers e Steaua Bucarest. Quelle traiettorie che sfidano la fisica e sembrano così impossibili da disegnare per gli altri, per lui sono una passeggiata nel parco. Il calcio spalanca le porte ad un ragazzino da Conegliano che conquisterà il mondo con la sua Juventus.
Sogna, ragazzo bianconero sogna! oggi c’è il Borussia Dortmund, quanto sarebbe bello ricominciare! In campo non c’è Alex, ma la Juventus è ancora lì per stupire, per superare l’impasse e tornare all’età fulgida dell’oro! Sogna, ragazzo, sogna "Ti ho lasciato un foglio / Sulla scrivania / Manca solo un verso / A quella poesia / Puoi finirla tu".
Roberto De Frede
Iscritta al tribunale di Torino al n.70 del 29/11/2018
Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246
Direttore responsabile Antonio Paolino
Aut. Lega Calcio Serie A 21/22 num. 178
