Analisi tattica: Bologna–Juventus, la risposta che serviva
La Juventus arrivava a Bologna in un momento delicato, reduce da una brutta sconfitta a Napoli che aveva rimesso in discussione certezze appena abbozzate e da una vittoria in Champions contro il Pafos maturata solo nella ripresa, dopo un primo tempo sofferto e confuso. Una fase della stagione in cui più delle gambe servivano idee chiare, personalità e una direzione riconoscibile. Contro il Bologna, per la prima volta dopo settimane, la Juve ha dato la sensazione di ritrovarsi, soprattutto dal punto di vista tattico e mentale.
La scelta di Spalletti è stata netta e coraggiosa: alzare il baricentro, aggredire la costruzione avversaria e accettare l’uno contro uno a tutto campo. Non una semplice riaggressione dopo la perdita del pallone – aspetto in cui la Juventus è già tra le migliori del campionato – ma una pressione organizzata, continua, portata con tempi e distanze finalmente sincronizzati. È probabilmente la miglior prestazione della Juve in termini di pressing offensivo degli ultimi anni, e non è un caso che sia arrivata dopo aver “mischiato le carte” rispetto alle gare precedenti.
Rispetto a Napoli, la differenza principale si è vista nel comportamento degli esterni: Cambiaso e McKennie non si sono abbassati per proteggere, ma sono usciti con aggressività e tempismo sui terzini del Bologna, permettendo alla squadra di schiacciare l’avversario nella propria metà campo. Spalletti ha accettato il rischio dell’uno contro uno difensivo, chiedendo ai suoi braccetti – Koopmeiners e Kalulu – e al centrale Kelly di difendere in avanti, con coraggio e letture aggressive. Una scelta che ha pagato, perché il Bologna non è quasi mai riuscito a uscire pulito dal primo pressing.
In questo contesto, Lloyd Kelly è stato uno dei simboli della partita. Preciso, dominante nei duelli, sempre in anticipo sull’uomo, ha trasmesso sicurezza a tutta la linea difensiva. Quando sai che alle spalle hai un difensore che non sbaglia tempi e interventi, il pressing davanti diventa più naturale, meno esitante. Kelly non ha solo difeso: ha guidato la linea, permettendo alla Juventus di restare alta e compatta per lunghi tratti.
Con il pallone, la Juve ha mostrato una struttura fluida, spesso assimilabile a un 4-2-3-1 in fase di possesso. L’abbassamento di Locatelli e Thuram ha attirato fuori i centrocampisti del Bologna, svuotando la zona centrale e creando corridoi di gioco. Qui è stato fondamentale il lavoro di McKennie, ancora una volta decisivo: il suo posizionamento su Lucumí ha tenuto occupati entrambi i centrali rossoblù, aprendo spazi preziosi per le giocate verticali. Da lì sono nati i “traccianti” verso Yildiz e Conceição, liberi di accentrarsi, puntare l’uomo e costringere la linea difensiva avversaria a rompersi in ritardo.
Non è un caso che proprio quei giocatori indicati nelle precedenti analisi come fondamentali per la crescita della squadra – Kalulu, McKennie, Yildiz e Conceição – siano stati ancora una volta tra i più incisivi. A loro si è aggiunto Cabal, autore del gol dopo l’ingresso dalla panchina: una scelta azzeccata di Spalletti, che questa volta ha letto bene il momento della partita e ha trovato risposte immediate dai cambi.
La Juventus ha creato molto più di quanto il risultato finale racconti e lo stesso Spalletti, a bordo campo, si è spesso infastidito non per la manovra, ma per la scarsa precisione nell’ultimo passaggio. I presupposti per fare male al Bologna c’erano tutti, e questo è forse il segnale più incoraggiante: la struttura funziona, le idee sono chiare, ora serve solo più qualità e convinzione negli ultimi metri.
Bologna non è stata la partita perfetta, ma è stata una partita “vera”, di identità e di scelte forti. Dopo Napoli e dopo le difficoltà viste contro il Pafos nel primo tempo europeo, la Juventus ha ritrovato se stessa partendo da ciò che conta davvero: coraggio, aggressività e uomini chiave messi nelle condizioni giuste per incidere. Da qui, finalmente, si può costruire.
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