Juventus, il filo che si è spezzato: analisi tattica tra Napoli e Pafos

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di Nerino Stravato

Le due partite dopo l’Udinese – la sconfitta al Maradona contro il Napoli di Conte e la vittoria sofferta di ieri sera in Champions contro il Pafos – raccontano una Juventus in cerca di identità, scossa, spesso impaurita, ancora lontana dall’essere la squadra che Spalletti immaginava di plasmare in queste settimane. E il campo, più dei risultati, lo ha mostrato in maniera evidente.

​A Napoli il piano partita scelto da Spalletti è stato un passo falso, come lui stesso ha ammesso nel dopogara. L’idea di giocare senza centravanti, affidandosi a Yildiz e Conceição in un 3-5-2 “liquido” per allargare la difesa azzurra, non ha funzionato. McKennie doveva essere l’incursore designato per riempire l’area, ma è stato seguito a uomo da McTominay, che gli ha spento ogni tentativo. Senza profondità, senza riferimenti, senza ritmo, la Juventus ha tirato nello specchio appena due volte: quella del gol di Yildiz e un tiro facile per Milinković-Savić nei secondi finali. Nel secondo tempo, tornando al 3-4-2-1 dinamico con tratti da 4-3-3, la squadra ha dato segnali migliori, ma non sufficienti a cambiare il destino del match.

​Ieri sera, contro il Pafos, lo Stadium si aspettava una reazione. Ma il primo tempo è stato una replica, per certi versi aggravata: squadra impacciata, paura di sbagliare, palleggio farraginoso e un pubblico che iniziava a mugugnare a ogni indecisione. Solo un palo e una parata importante di Di Gregorio hanno salvato la Juve dallo 0-1. La scossa è arrivata all’intervallo con l’ingresso di Conceição per uno Zhegrova spento e soprattutto con lo schieramento chiaro di un 4-3-3 che ha rimesso ordine e dato velocità: Kalulu e Kelly centrali, McKennie e Cambiaso terzini molto alti, Koopmeiners regista, Yildiz e Conceição larghi e liberi di accentrarsi. Due gol, tre punti, ritmo decisamente migliore. Ma ancora lontani da una vera identità.

​Il vero problema non è la disposizione in campo, ma la testa. Spalletti non ha usato mezzi termini: ha parlato di “situazioni imbarazzanti”, e se si rivedono le due partite, il concetto è chiaro. A Napoli, Locatelli nel primo tempo sbaglia un’apertura semplice e senza pressione spedendo il pallone in fallo laterale, guardando poi a terra come se cercasse un motivo esterno all’errore. Sempre al Maradona, Kostić nella ripresa prova un cross dal limite dell’area e colpisce il piede d’appoggio, lisciando poi il pallone in modo totalmente fantozziano. Ieri sera è toccato a Cambiaso: al 71’ ha il pallone tra i piedi, indeciso se dribblare o giocare semplice, finendo per toccarlo male e consegnarlo al Pafos, che riparte pericolosamente. Tre momenti scolpiti nella memoria che fotografano la Juventus di adesso: non una squadra spaventata dal pericolo, ma spaventata dall’idea di sbagliare. E quando giochi così, sbagli.

​Eppure, dentro questo mare di incertezze, ci sono quattro punti fermi dai quali Spalletti deve ripartire. Kalulu è la certezza assoluta: terzino o centrale cambia poco, ha giocato tutti i minuti delle 21 partite ufficiali della stagione senza mai essere sostituito, garantendo solidità, energia e personalità in ogni situazione. McKennie, definito ieri dallo stesso Spalletti un giocatore moderno, è fondamentale: dinamico, disciplinato, capace di cambiare modulo in corsa interpretando più ruoli con naturalezza. Yildiz e Conceição rappresentano invece l’elettricità, la fantasia e la sfrontatezza nell’uno contro uno, il tipo di qualità che accende la squadra e che i tifosi percepiscono immediatamente come scintilla emotiva oltre che tecnica.

​La Juventus è in un momento delicato, in cui ogni scelta pesa e ogni dettaglio fa la differenza. Ma dentro queste due partite c’è anche una strada possibile: quella del coraggio, della fluidità, della libertà mentale dei suoi giocatori più sfrontati. È da qui che Spalletti deve ricostruire; è da qui che la Juventus deve ripartire per trasformare mugugni e fischi in quella spinta che, allo Stadium, fa davvero la differenza.