Dalla Ferrari alla Juve: così è Maurizio Arrivabene (se vi piace)

Dalla Ferrari alla Juve: così è Maurizio Arrivabene (se vi piace)TUTTOmercatoWEB.com
martedì 18 gennaio 2022, 11:34Primo piano
di Daniele Petroselli

L’uomo che deve rimettere i conti a posto della Juventus, ma anche l’uomo di ferro pronto a rimettere tutti in riga, sul campo e fuori. Ormai nelle ultime settimane non si parla altro che di Maurizio Arrivabene, amministratore delegato che con le sue esternazioni pubbliche ha scatenato un vespaio di critiche, dividendo la tifoseria bianconera.

Da Philip Norris a Ferrari, l’evoluzione dell’uomo marketing

Il bresciano classe ’57 ne ha fatta di strada. Dopo vent’anni nell’ambito commerciale in Italia e all’estero, nel 1997 ha conquistato i vertici della Philip Morris, entrando nella filiale europea dedicandosi al marketing e alle attività promozionali della multinazionale. Un ruolo tagliato per lui, che in breve tempo ha scalato l’azienda fino ad arrivare alla carica di vice presidente della comunicazione globale del brand Marlboro. Sì, avete capito bene, la comunicazione, quella che è finita nel mirino proprio negli ultimi tempi in casa Juventus.

Arrivabene ha legato il marchio Marlboro alla F1 e ai successi della Ferrari, quelli dell’età d’oro Todt-Schumacher. E sarà per questo che nel paddock è diventato subito un personaggio in vista, tanto da conquistare nel 2010 il ruolo di membro della commissione di Formula 1 in rappresentanza di tutte le aziende sponsor in quest'ultima. Ma è con la Rossa che ha legato maggiormente. E alla fine del 2014 si merita la chiamata nientemeno che di Sergio Marchionne, da poco subentrato alla presidenza della Ferrari, per far risorgere dalle proprie ceneri una scuderia sull’orlo di una crisi di nervi.

Già, perché la casa di Maranello, scossa già dall’addio di Luca Cordero di Montezemolo, messo alla porta proprio da Marchionne, viene fuori da anni difficili nel comparto sportivo. L’era dei motori ibridi è appena iniziata e il flop è clamoroso: quarto posto nel Mondiale costruttori, due podi e un giro veloce. Troppo poco per un team abituato a stare ai piani alti della F1. A fine stagione poi arriva l’addio di un campione come Fernando Alonso, oltre a quelli dei team principal Stefano Domenicali e del successore Marco Mattiacci a stretto giro di posta. Insomma la Ferrari è una polveriera.

Arrivabene tra passato e futuro

Nei quattro anni alla guida della Gestione Sportiva del Cavallino, i risultati sperati non arrivano. Anche perché la Rossa non porta a casa quel Mondiale che manca dal 2007. Ma a vedere oggi la gestione Arrivabene non è stata così deludente come è apparso ai più subito dopo il suo addio: un terzo posto in classifica costruttori, tre secondi posti e Sebastian Vettel, nuovo nome di punta al suo arrivo alla Ferrari, per due volte vicecampione del mondo nel 2017 e 2018. Che, a vedere le ultime annate firmate Mattia Binotto, sono un qualcosa che la Rossa ha solo visto col binocolo.

Con Arrivabene per l’ultima volta la Ferrari ha lottato per il titolo. Realmente. In entrambe poi il copione è stato lo stesso: calo da metà stagione in poi, dovuto non solo a una macchina con problemi di sviluppo rispetto alla Mercedes ma anche per un Vettel in crisi se messo sotto pressione. Insomma dal lato sportivo nulla si può dire al nuovo ad della Juventus. Il sergente di ferro individuato per la ricostruzione ha portato come non mai la Rossa sul tetto del mondo. Roba che altri adesso se lo sognano.

Altro è il lato umano e comunicativo. Qui Arrivabene è sempre stato chiaro: poche parole, sono i fatti a dover parlare. Con i piloti e con la squadra ha sempre predicato calma, anche nei momenti di possibile esaltazione. Ma quando c’è stato da bastonare lo ha fatto, senza guardare in faccia a nessuno, mettendo in discussione in primis se stesso. Un atteggiamento però che, come raccontò all’epoca il noto giornalista britannico, esperto di F1, Mark Hughes, gli creò qualche problema all’interno dell’azienda. "Non era l’uomo giusto per quel lavoro, e aveva un valore minore rispetto a Binotto, che avrebbe potuto lasciare la Ferrari qualora Arrivabene fosse rimasto come suo capo", raccontò dopo l’addio alla Rossa del manager. A condannare Arrivabene sarebbe stato innanzitutto un carattere poco o niente collaborativo, a dispetto di ciò che è sempre andato predicando coi media: "Gli è mancata la capacità di guidare e di ispirare – sentenziò Hughes -. Ciò che lui vedeva come leadership, molti attorno a lui lo percepivano come bullismo. È stato un despota con i suoi inferiori, ma senza riuscire a compensare con qualità ispirazionali". Parole forti, è vero, ma che tornano di moda oggi. Almeno in parte.

Sì perché quello che si sente dire da più parti dell’ad juventino è l’essere sopra le righe con le sue dichiarazioni, che travalicano il ruolo di amministratore delegato, di colui che è stato chiamato a pensare ai conti del club e a risanare una situazione fattasi complicata negli ultimi anni. La realtà però racconta che Arrivabene è sempre stato così, un uomo che mette il bene dell’azienda per cui lavora al primo posto, che fa dei princìpi un punto fondamentale per la convivenza in un gruppo. E non nasconde mai nulla, anche davanti ai microfoni. Non è uno che usa giri di parole, ma se può, lascia il segno con le parole. E con i fatti. Alla Juve si sta ripetendo lo stesso copione. Se prima era Raikkonen o Vettel a finire nel mirino dell'ad, oggi è Paulo Dybala. Ma a vederla tutta realtà il richiamo è per tutta la squadra. E i termini sono gli stessi visti nei suoi 4 anni in Ferrari. Prendere o lasciare, verrebbe da dire. Ma se Agnelli ed Elkann lo hanno scelto per questa carica, è perché consci di quello che può dare. In ogni senso, nel bene e nel male.